CULTURA  
giovedì 10 agosto 2000, S. Lorenzo  
   
Parola d'ordine: straniamento
Edoardo Sanguineti e la scrittura che controlla le emozioni
Intervista. A Levico c'è un grande protagonista della poesia italiana

di Alessandro Dell'Aira

Protagonista degli ultimi quarant'anni di dibattito letterario e civile in Italia, Edoardo Sanguineti in questi giorni è in Trentino per un'occasione culturale di rilievo: i corsi estivi di italiano per stranieri organizzati a Levico dal Celi sotto l'egida dell'Istituto Trentino di Cultura, con il coordinamento di Romano Svaldi e Amedeo Savoia.
Sanguineti, che insegna lingua e letteratura italiana presso la Facoltà di Lettere dell'Università di Genova, incontrerà per due volte i corsisti nella sede di Levico dell'Istituto «Marie Curie». Traccerà anzitutto un panorama della poesia italiana del secondo Novecento, per poi leggere e commentare agli allievi una scelta dei suoi testi poetici.
La sua produzione può iscriversi tra Laborintus, del 1956, e Cose, versi pubblicati nel novembre 1999 dall'editore napoletano Pironti, quasi a concludere simbolicamente l'avventura di cinque generazioni di poeti italiani sul filo di lana del secolo.
Postkarten, Bibidis, Segnalibro, Senzatitolo: così si presentano alcune sue raccolte di versi corporei, pacatamente anarchici, per nulla gridati. Versi d'autore concepiti per voce sola non omologata (preferibilmente la sua), accompagnata talvolta da musica d'autore (Berio, Liberovici). Meno noti sono gli spunti che indulgono al comico. «Bollettario» è il titolo della rivista letteraria che dirige. Storie naturali; Protocolli; Faust, un travestimento, alcuni dei suoi testi teatrali.
L'esordio di Sanguineti è ricordato per uno scambio di battute al calor bianco con Pierpaolo Pasolini, il quale gli rimproverò su «Officina» di essere troppo interessato alla disarticolazione del linguaggio e poco attento al sociale. Si era a metà degli anni Cinquanta: polemiche di questo tenore impegnavano gli intellettuali su più fronti. Sanguineti, ventiseienne, reagì senza complessi e a sua volta accusò Pasolini di essere passatista, retorico e ingenuo, se non reazionario, nel suo approccio con il presente. In altri termini, si dichiarò a favore di un'ideologia e di un impegno filtrati dal linguaggio anziché dalla passione.
Sette anni più tardi, a Palermo, un testo di Sanguineti fu messo in scena con altri in apertura di un convegno della Neoavanguardia, che fece epoca e generò il Gruppo 63. Quanti vollero riconoscersi in quella sorta di scuola, scioltasi dopo qualche anno, non avevano una poetica in comune ma si trovarono a condividere una formula in apparenza poco ambiziosa: l'uso del linguaggio come esecuzione di voci narranti prive di enfasi sull'io, senza la pretesa di pervenire a una comunicazione fondata sul colloquio e con prevalenza dell'oralità sulla scrittura. Capriccio italiano, anch'esso del'63, è il contributo in prosa di Sanguineti alla Neoavanguardia.
Pasolini rincarò la dose di critiche nel 1965, quando Einaudi pubblicò l'antologia I novissimi, manifesto del Gruppo 63. L'antica polemica ebbe un ritorno di fiamma nel 1995, a vent'anni dalla tragica morte del poeta friulano. Questa querelle non ha più motivo di essere. Il modo di agire e di fare di Sanguineti, sempre più lucido e scevro di passionalità, si distingue oggi per una riflessione provocatoria ma sistematica sui linguaggi, che è anche contributo scientifico alla rigenerazione della lingua italiana. Esemplare è la sua collaborazione alla redazione del Grande dizionario italiano dell'uso (Gradi), edito dalla Utet sotto la direzione di Tullio De Mauro: migliaia di schede elaborate personalmente da Sanguineti con una Olivetti Lettera 22, tanto cara al poeta Gianni D'Elia, quasi a rimarcare che l'avanguardia letteraria non passa per forza attraverso le nuove tecnologie.
A Levico lo abbiamo intervistato.

Da Laborintus (1956) a Cose (1999) ci sono di mezzo quarantatré anni di vita e tre generazioni poetiche. A quale stagione della Sua poesia si sente più emotivamente legato?
Forse alla prima, ma per una sorta di fatalità, se si può dire, fisiologica. Naturalmente il momento iniziale è quello determinante, perche comporta la decisione di scrivere e di pubblicare. A parte questo, è chiaro che se uno continua a scrivere è perche sente il bisogno di modificare, di sviluppare il proprio discorso. Nasce una sorta di equa distribuzione degli affetti. E così si comprende come si provi un interesse speciale per le cose più vicine, come avviene con i figli.
Per intepretare il reale attraverso il suo equivalente linguistico, in modo particolare oggi, a Suo giudizio è più efficace la passionalità o lo straniamento?
Scelgo senz'altro lo straniamento. Penso e ho sempre pensato che nella scrittura c'è davvero una responsabilità di comunicazione ideologica che deve sottoporre qualunque pulsione emotiva a una vigilanza ragionata e raffreddante. Il che non vuol dire che non ci sia all'origine qualcosa di molto forte, di autenticamente emotivo, qualche spinta anche sentimentale. Nella malfamata idea di ispirazione poetica c'e una parte di inconscio che agisce fortemente. Lo straniamento, certo. Siamo tutti tenuti a essere brechtiani, ma anche un po' freudiani.
Che rapporto c'è oggi, secondo la Sua esperienza, tra grande editoria e poesia d'autore?
La grande editoria è molto diffidente verso la nuova produzione. L'autore consacrato è molto più rassicurante per un editore: il mercato e l'economia sono molto cauti nei confronti dei poeti. L'autore consacrato avrà comunque un suo pubblico. Le biblioteche, le scuole, le università garantiscono sempre un certo numero di lettori. I poeti e saggisti, invece, rappresentano un margine di rischio molto alto per l'editore. La scelta dell'ultimo editore, Pironti, muove da un'occasione. Sono molto legato a Feltrinelli, con cui da sempre ho pubblicato le mie poesie. Ho voluto tuttavia anticipare con l'editore napoletano il nucleo di una raccolta più ampia, già abbastanza solido.