CULTURA  
giovedì 26 ottobre 2000, S. Evaristo  
   

WEIMAR
Il tallone d'Achille
di quella democrazia
nel cuore d'Europa
Trento, brillante lezione di storia di Gian Enrico Rusconi,
politologo acuto

di Alessandro Dell'Aira



CHI HA DETTO che la storia non si fa con i «se»? È stata questa la lezione trentina su Weimar di Gian Enrico Rusconi, politologo acuto, docente di Scienza della Politica a Torino. Dire che la storia non si fa con i «se» è un pregiudizio, come quello che si debba scrivere di storia «a ragion veduta».
Le ragioni storiche di Rusconi sono molteplici, indagate, vagliate con il metodo della cosiddetta storiografia virtuale. Qualcuno, magari Montanelli, non sarebbe d'accordo, ma questo è scontato.
L'eredità di Weimar è un tema dibattuto, caro a Rusconi che nel 1977 ha pubblicato per Einaudi un saggio importante e fortunato: «La crisi di Weimar. Crisi di sistema e sconfitta operaia».
Ora ha messo a fuoco le sue conclusioni alla luce della più recente produzione storiografica.




COS'È dunque l'esperienza di Weimar? Un laboratorio di modernità, di rottura? Un momento di democrazia debole? Una questione irrisolta? L'agonia di un fantasma? Dopo la Germania, il paese che più si interroga è l'Italia. Ed è giusto così, perché Weimar è una città simbolo per l'Europa contemporanea. Luogo di nascita di Goethe e Schiller, il suo nome riassume quindici anni di storia incandescente, non solo tedesca, con molti riflessi globali. Occasione mancata, rivoluzione tradita? C'era o non c'era la possibilità, era il momento o no di creare un sistema socialista? La storiografia marxista non è stata mai tenera con Weimar, repubblica borghese. In questo ha pesato anche la parola, che non è un insulto, e alla quale, ricorda Rusconi, va restituito il senso di «liberale». A Weimar è nata la prima Costituzione tedesca, una delle migliori, che ha razionalizzato lo Stato sociale e il sistema federale. Ricordando «La politica come professione» di Max Weber, Rusconi ha sottolineato come già quel sistema fosse una Führerdemokratie, nel senso di «democrazia con una guida».
Con un tallone d'Achille: il famoso articolo 48 della Costituzione, che autorizzava il Presidente a formare un governo in caso di emergenza, a sua discrezione. Sappiamo che quella formula, ibernata dal 1919 al 1932, ebbe conseguenze e risvolti tragici. Il presidente governava a prescindere dal Parlamento. I tedeschi credevano di avere un cancelliere e si ritrovarono un Führer. Ma il modello prussiano-tedesco è giuridicamente fondato sullo Stato di diritto e la buona amministrazione. Se si è risolto come via legale al nazismo, non è colpa di Weimar. «Se» non ci fosse stato il Grande Crollo d'oltre oceano, The Great American Desaster del 1929... «Se» non ci fosse stata quella maledetta crisi giocata sul piano finanziario, quasi come quelle di oggi, e non sul piano della produzione...
Nell'esperienza di Weimar, il 1923 è un anno cruciale. Un caporale boemo, in una birreria di Monaco, arringa i suoi: ha un che di demoniaco, che seduce. I comunisti insorgono in Turingia. La rivoluzione non si fa con i fiori e Berlino rischia di diventare San Pietroburgo.
Manifestazioni di giorno, morti di notte. La delusione non digerita degli ex combattenti per la «pugnalata alle spalle» del primo dopoguerra, da un certo punto di vista era comprensibile. Eppure il vecchio Hindenburg, che non amava il Parlamento, non avrebbe mai voluto sospendere le elezioni.
Nell'argomentare, Rusconi procede per parentesi e divagazioni. Per semplificare adotta formule familiari, senza banalizzare: dal 1919 al 1925 si può parlare di un «centro-sinistra», dal 1925 in poi, fino al 1930, di un «centro-destra»; poi di una «grande coalizione», in cui il Parlamento non è in grado di esprimere un governo a causa delle opposizioni di segno diverso. Quasi a compenso di queste semplificazioni, ecco i dati statistici sull'esito delle consultazioni elettorali, con la finale e irresistibile ascesa del partito nazionalsocialista. Le lezioni di Weimar non finiscono mai, conclude Rusconi, incondizionato ammiratore della democrazia weimariana. E' il caso limite di una forte crisi di sistema, in cui giocano un ruolo notevole le influenze esterne. Qualche riflessione, prima di dare spazio al dibattito: la colpa di Weimar è un difetto di costruzione, non di cultura politica. E' il sacrificio consapevole degli ideali, quasi un suicidio. Una tragedia della socialdemocrazia tedesca (sotto gli occhi del centro, impassibile, cinico). Weimar nasce da un patto, da una contrattazione di importanza enorme, nella persuasione di poter conciliare il potere con il conflitto. La forza dell'instabilità: ecco il suo grande segreto.
Il rinvio sine die delle elezioni è il colpo definitivo alla sua Costituzione (un altro luogo comune da sfatare: «Si va sempre a votare come a Weimar»). Il Parlamento si autoemargina e interviene la piazza. L'apparato amministrativo sta a guardare. Si crea il cortocircuito tipico di quando il sistema è inefficiente.
Weimar. De Fabula narratur, conclude Rusconi richiamando un detto latino. La Germania va capita.