CULTURA  
sabato 4 novembre 2000, S. Carlo Borromeo  
   
HUBERT JEDIN

I quattro volumi sul Concilio
hanno colmato un vuoto
e hanno riempito la sua vita
Ieri a Trento, all'Itc ricordata la figura dello storico tedesco


Si è svolta ieri pomeriggio a Trento, presso l'Aula Grande dell'Istituto Trentino di Cultura, la celebrazione del centenario della nascita di Hubert Jedin (1900-1980). In programma, oltre al saluto delle autorità, tra cui il presidente della Provincia Dellai e il vescovo di Trento monsignor Bressan, un'introduzione del direttore del Centro per gli studi storici italo-germanici, Giorgio Cracco. Sono seguiti gli interventi di monsignor Iginio Rogger, Giuseppe Alberigo, Paolo Prodi. La celebrazione si è tenuta nell'esatto anniversario della nomina di Jedin a presidente dell'Istituto storico italo-germanico (3 novembre 1973), da lui fortemente voluto. Hubert Jedin è autore della famosa Storia del Concilio di Trento (1949-1975), di una monumentale Storia della Chiesa, in dieci volumi, e di una nutrita produzione di saggi scientifici.


di Alessandro Dell'Aira







«DIO SA SCRIVERE ANCHE SU LINEE CURVE». Questa frase di Hubert Jedin, il grande storico del Concilio di Trento, avrebbe potuto fare da titolo all'autobiografia, rivista dall'autore fino a pochi mesi dalla morte, sopraggiunta nel 1980. Ne fu poi scelto un altro: «Storia della mia vita», più laico e meno compromesso con la teologia, nell'assoluta certezza che l'autore lo avrebbe approvato. Hubert Jedin è stato il primo presidente dell'Istituto storico italo-germanico di Trento. I suoi quattro volumi sul concilio hanno colmato un vuoto di tre secoli, e gli hanno anche riempito la vita. Una vita accidentata, segnata da tante curve. La sua missione di ricercatore, come scrisse egli stesso nel 1939 all'ambasciatore tedesco presso la Santa Sede, von Bergen, che non volle mai frequentarlo, era di scrivere una storia «ampia e scientificamente ineccepibile» di quell'evento miliare per la storia d'Europa. Salesiano, archivista arcivescovile a Breslavia, aveva al suo attivo una lunga stagione di studio in Italia, culminata in alcuni volumi preparatori della grande fatica. Sperava di ottenere il visto di espatrio per recarsi presso l'Archivio Vaticano, nei cui ambienti era ben conosciuto.
Uno degli elementi favorevoli alla concessione del visto fu che occorreva scrivere una storia monumentale del Concilio di Trento prima dei francesi, e che le fonti pubblicate erano tutte di parte tedesca. Non c'erano oneri da coprire per il suo soggiorno a Roma, si diceva in un rapporto informativo stilato dall'Istituto storico germanico di Roma: il cardinale Mercati se li era assunti personalmente. D'altra parte, la presenza di Jedin presso la Santa Sede avrebbe discretamente bilanciato l'influenza del gruppo di sostenitori del cardinale Tisserant.
Così diceva il rapporto. Ma il reverendo Hubert non era incline a fare politica per conto terzi, neppure sul terreno diplomatico. Nonostante le umiliazioni inflittegli dal nazismo, che lo aveva sospeso dall'insegnamento come «non ariano» per le origini ebraiche della madre, si mantenne a distanza ineccepibile da tutti. Evitò per un soffio di essere deportato a Buchenwald. Cacciato dall'università di Breslavia, trovò conforto nello studio. A Roma si diede a comporre una storia bibliografica completa e aggiornata del «suo» Concilio. Tornò sulle proprie ricerche degli anni Venti, durante le quali, a Napoli, gli era anche accaduto di incontrare Benedetto Croce. Nella primavera del 1940 fece una puntata a Mantova, e a Trento per la prima volta.
La ricerca di Jedin si sviluppa nel corso di eventi bellici che la mettono in forse ogni momento. Ma è proprio quel ritmo di lavoro a rendere i suoi giorni meno penosi e interminabili. Nel 1946, a guerra conclusa, una lettera da Bonn gli preannuncia la riabilitazione accademica, sollecitata dal governo militare inglese. Jedin chiede di lasciare l'Archivio Vaticano e di trasferirsi a Bonn, visto che non può rientrare a Breslavia, occupata dai russi. Ottiene anche una deroga che gli consentirà di concludere una fase delicata delle ricerche. A Bonn lo raggiunge un'offerta del cardinale Mercati, suo garante romano: una cattedra alla Sorbona di Parigi. Jedin prende tempo e alla fine rifiuta, nonostante le insistenze di Mercati. Il primo dei suoi quattro volumi sul concilio di Trento è uscito in mille esemplari, ha avuto un notevole successo tra gli specialisti ed è già esaurito. È tempo di pensare al secondo. D'ora in poi la sua vita sarà una strada senza curve, da percorrere con austerità fino alla meta. Il mondo cambia. Jedin, che ha sempre rinviato l'acquisto di una radio, non diffida del progresso: ne avverte i pericoli, preferisce essere sobrio e tale resta. Dai suoi scritti minori, alcuni dei quali figurano in appendice all'edizione italiana dell'autobiografia, riprendiamo un promemoria per la Conferenza episcopale del 1968. Sia come religioso, sia come studioso, Jedin sente l'urgenza di pronunciarsi, nello spirito del Concilio Vaticano II, poiché "quello che per il singolo è l'esperienza di vita, per la comunità ecclesiale è la storia della chiesa". E di fronte alla crisi di quegli anni, non trova migliore argomento dell'accostare l'Europa del secolo sedicesimo alla realtà presente, in cui la chiesa cattolica è in pensiero per i rischi di lacerazioni interne. Il suo intervento è politico, autonomo, sempre sostenuto da un'ineccepibile distanza scientifica.
In piena coscienza, Jedin segue l'evolversi della propria immagine pubblica. È legato a Trento da forti vincoli d'affetto per la sua scuola, al punto di fare del Trentino un suo luogo della continuità nella memoria, come lo era la Slesia che lo aveva visto nascere. Uno dei suoi incubi, a Roma, nel 1944, era di svegliarsi e di non trovare più i ponti sul Tevere. Una notte di giugno quei ponti rischiarono di saltare davvero per mano nazista. Ma non saltarono. Simbolicamente, in quell'incubo di Jedin, studioso tedesco innamorato dell'Italia, va letto, in positivo, il suo sogno di continuità nell'attenzione alla storia. Perché la storia per lui, com'è stato ricordato ieri sera a Trento, era continua verifica dell'ideologia alla luce dei fatti.