domenica 20 maggio 2001
   


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 CULTURA
Anche Madruzzo
tra i mostri
del parco di Bomarzo

L'artefice. Il principe Vicino Orsini lo realizzò in gara con Caprarola e Soriano


Nel 1940, poco prima che l'Italia entrasse in guerra, il signor Maurizio Maraviglia - dal cognome gentile e un po' ingombrante - acquistò dai Borghese una certa estensione di terreno agricolo fra Orte e Viterbo, con un bel po' di macigni che rendevano ardua la semina e la coltivazione. Gli eventi che seguirono tolsero altro valore a quelle terre, tanto che un giorno il signor Maraviglia decise di disfarsene. Si fece avanti una coppia di paesani che si svenarono volentieri per l'affare, innamorati come tortore l'uno dell'altra e invaghiti del luogo. In verità non era solo romanticismo: di lì a quattro anni la principessa Margaret in persona si scomodò d'oltre Manica per venire a Bomarzo dai signori Bettini, a inaugurare "Il Parco dei Mostri". Era il 1958. Tony Blair e Cherie Booth erano ancora felici all'asilo, da qualche parte.


di Alessandro Dell'Aira


Magie di Bomarzo. Incantesimi tra arte e letteratura, direbbe Calvesi. La magia più ardita è una casetta fortemente sbilanciata che opprime un arco mascherato da passerella. Sulla facciata opposta, sotto il sole che sorge ogni giorno e alla fine tramonta sul parco e sul resto del mondo, dentro un cartiglio si legge: "Crist[ophoro] Madrutio, Principi Tridentino, Dicatum". Una dedica al primo dei quattro principi tridentini, successore del Clesio, trasferitosi a Roma dopo quasi due anni di governatorato milanese, vescovo di Trento fino al 1567, ideatore di castelli e ville - tra cui le Albere di Trento e il castello di Nanno -, morto a Tivoli a Villa d'Este nel 1578 e sepolto a Roma nella chiesa di Sant'Onofrio. Una seconda scritta bilancia la prima, sulla stessa facciata della casetta: "Quiescendo Animus Fit Prudentior Ergo". Libera traduzione: "L'animo, riposando, diventa migliore, e allora...". E' un invito svagato a sedersi sul sedile basso che gira intorno alla casetta, coerentemente sbilenco e mezzo affondato nel terreno. Per nulla banale, il messaggio: fa il verso ad Aristotele. Fra le tante iscrizioni del parco, le due sole frasi in latino sono qui, sulla casa storta, forse perché da questo piano una volta si entrava nel sacro bosco ai piedi dell'abitato di Bomarzo, che crebbe un pezzo alla volta, in quattro fasi che inglobano il concilio di Trento pressoché per intero: dal 1547 in poi, fino al 1580.
 

Una delle statue del parco tra le tante di animali mitici, raffigurante il drago. Sotto, la casa pendente che riporta la scritta dedicata al principe vescovo Madruzzo









La scritta scolpita all'entrata del parco tra Orte e Viterbo recita "Crist(ophoro) Madrutio, Principi Tridentino, Dicatum" in carica fino al 1567 per poi trasferirsi a Tivoli, dove morì nel 1578 a Villa d'Este


Un parco nato, o quasi, "sol per sfogare il core", come ha lasciato scritto, un po' oltre le due iscrizioni latine, il principe Pier Francesco Orsini, detto Vicino, l'artefice. Il principe Orsini è l'umanista del "bosco", buon amico di papi e imperatori, in concorrenza spietata, umanisticamente parlando, con altri due mecenati, cardinali e proprietari di parchi fuori dell'ordinario, anche se non meravigliosi come il suo: quello di Caprarola di Alessandro Farnese, e l'altro di Soriano nel Cimino, acquistato a buon prezzo dal Madruzzo nel 1561.


Quell'impudente di Orsini ------------------------------------------

Con la solita impudenza di maniera, Vicino Orsini paragonava Caprarola e il suo vino alla Domus Aurea di Nerone, e Soriano, con la fonte Papacqua, all'antidoto di Caprarola. I prodotti del viterbese, per i tre amici in villa lontani da Roma, erano gustosi quanto le lattughe di Spalato dei giardini di Diocleziano, o per l'Ariosto le rape del piccolo orto di Ferrara. Il "bosco", circo di pietra e di muschio che invecchia con Vicino e si complica con il dispiegarsi della sua vicenda mondana, è davvero meraviglioso e incantato. Romantico in apparenza, come le antichità riscoperte e interpretate da chi non sa, si va rivelando grazie alle fonti d'epoca, come un negativo in camera oscura. La ribollente fantasia di Vicino, il genio - si dice - di Pirro Logorio e del Vignola, l'esperienza degli scalpellini locali, probabilmente attivi in tutte e tre i luoghi ricordati, nel giro degli anni modellarono i massi e i mascheroni ispirandosi alla mitologia classica, ma anche a ciò che si sapeva a Roma del Nuovo Mondo e dell'arte azteca.

Bettini parla delle "sue" statue ------------------------------------------

Prima di Maurizio Calvesi, che ha pubblicato nel 2000 una lettura interdisciplinare del parco di Bomarzo, il luogo è stato studiato a fondo da Horst Bredekamp, docente di storia dell'arte dell'università di Amburgo, e splendidamente illustrato dalle immagini fotografiche di Wolfram Janzer, in bianco e nero e a colori. Questi due libri sono un buon viatico per capire Bomarzo. Anche se il modo migliore per rendersi conto di cosa si tratta è visitare il luogo. E alla fine, magari, scambiare due parole con l'attuale proprietario: Paolo Bettini, figlio di Giovanni. Due lapidi del 1997, nel pronao del tempietto che domina la collina più alta, ricordano i suoi genitori come persone benemerite del luogo e anche dell'arte, visto il totale disinteresse durato quattro secoli. Paolo Bettini parla volentieri delle "sue" statue: Proserpina, Persefone, la Sirena, Nettuno, l'Amazzone, l'Elefante, la Testuggine, l'Orca, la Bocca dell'Inferno, le pigne e le ghiande giganti (alcune disperse nel territorio fino a poco tempo fa). Il piccolo museo è quasi ultimato: raccoglie oggetti d'epoca trovati nel parco e varie testimonianze sulla sua rinascita, nella migliore tradizione inglese dell'antica Society of Dilettanti, o dell'instancabile Athanasius Kircher. Nel frattempo, all'esterno, in una gabbia doppio-volume del parco giochi per bambini e turisti in merenda, una tortora cova le sue uova invisibili mentre al piano di sotto una faraona ne ha scodellate tre in un cestino. Magia di questo parco dedicato anche al Madruzzo, incanto della casa pendente e dei giganti di pietra che divertono i passanti di tutte le età ed entusiasmano i critici, anche quelli da viaggio. A ciascuno il suo.