LE LETTERE  
giovedì 1 aprile 1999, S. Ugo  
   
REVISIONISMI
Si scrive Pinochet
e si legge don Corleone

Alessandro Dell'Aira

A proposito di Augusto Pinochet, nell'ipotesi che tocchi all'Inghilterra o alla Spagna di processarlo, o che torni in Cile dove nessuno lo processerà mai, un lettore qualificato ha scritto a El País, il più grande quotidiano di Madrid, che il vero problema è un altro: l'ombra dei suoi crimini dovrà o non dovrà accompagnarlo nell'aldilà? Perché morirà anche lui, come Franco, come Salazar, dovrà chiudere gli occhi per sempre da qualche parte, in Inghilterra o in Cile. E ai morti si deve sempre perdonare.
L'aldilà preoccupa il lettore più della difesa che di Pinochet è stata fatta negli ultimi tempi da quanti lo dipingono come un garante della civiltà liberale in America latina, un ruolo che certi revisionisti di oggi velatamente attribuiscono anche a Franco e a Salazar in Europa tra le due guerre mondiali. I potenti e i loro interpreti si ergono spesso a difesa delle dittature passate e rivoltano la storia dell'aldiquà come un guanto, revisionismo o no, perché non hanno niente da perdere. O meglio, hanno tutto da guadagnare, difendono la democrazia finché non pregiudica i loro interessi e accusano i sempre perdenti di disfattismo, in altre parole di essere la causa sostanziale delle crisi della grande politica e degli irrigidimenti del pensiero liberale. I sempre perdenti d'altra parte sono tali perché perdono più degli altri la libertà e a volte la vita durante le dittature. Ma siccome alla fine delle dittature del secolo breve e anche di quelli lunghi, come nei giorni bui, il sole tramonta come negli altri secoli e negli altri giorni, loro, i sempre perdenti, che se ne intendono, per ragioni umanitarie o in nome di cause superiori e ineffabili, dovrebbero essere disposti più degli altri a perdonare i dittatori del passato prossimo, che non sono mai stati carnefici in prima persona e pertanto non hanno mai le mani sporche di sangue altrui.
Il lettore spagnolo, sempre preoccupato in modo subliminale di ciò che sarà di Pinochet dopo la morte, ricorda anche che il vero problema non sono i garanti dei supposti garanti, e dunque neppure i revisionisti. Il vero problema è il Potere al potere, la cui pazienza ha i suoi limiti, è quello che accadde in Cile nel 1973 ed è quello che accade anche oggi un po' qua e un po' là. Sicché Pinochet non può e non deve essere rimandato in Cile. Deve essere processato in Europa.
A nostro sommesso parere, tuttavia, il vero problema non è tanto il perdono in extremis o l'eterna dannazione di Pinochet, e neppure il no al rimpatrio o all'estradizione, quanto il consumo presente e futuro dell'icona corrente di Pinochet, da vivo e da morto. L'informazione finale, nel senso di spicciola, ce ne offre un'immagine curata fino al titolo sfocato ma leggibile dei libri sugli scaffali alle spalle della sua poltrona durante l'intervista concessa a un inviato speciale nella sua dimora di Londra. Quello che legge oggi Pinochet, quello che mangia, quello che pensa, quello che appare, e non più quello che è stato, quello che ha letto, quello che ha mangiato, quello che ha pensato ieri, e neppure quello che è apparso. Margaret Thatcher si presenta alle cinque del pomeriggio per parlare con lui delle Falkland, e a media luz in salotto gli concede magari di chiamarle Malvinas, il nome dato dagli argentini alle isole che nei loro slogan erano state, dovevano essere e sarebbero dovute restare sempre argentine. Un tè sorbito dalla lady di ferro con l'ex dittatore di Santiago che ha difeso gli interessi dell'Union Jack dalle pretese di Buenos Aires - Malvinas o Falkland, que más da, il Cile si affaccia sul Pacifico - ha una forza comunicativa, un fair play che vale di più di mille appelli di Amnesty International applicati ad altre cause. Per non dire di voci autorevoli che si sono levate, invocando l'età del generale che del resto appare in ottima forma e aspira a durare, ad apparire - visto che non può comparire - in società come un militare, pardon, un gentleman agli arresti in perfetto aplomb, continente al massimo, asciutto e aromatizzato come le foglie del tè di Giacarta. In questi sei mesi di Inghilterra albionica è ringiovanito e non dimostra i suoi ottantatré anni di guerriero in arnese, inopportunamente dato per semisvanito in patria tempo fa.
Il revisionismo è una pratica che si può estendere anche a Pinochet, a condizione che lo si tratti come una Balilla da rimettere in sesto per i rallies o i saloni degli antiquari. La carrozzeria è già a posto, il motore non sappiamo, lui stesso si è dato una ripassata e si atteggia come un boss di mafia dopo una scorpacciata di Piovra-stories, e cioè alla star di un instant book che si muove come don Corleone, legge i libri preferiti di don Corleone, parla come il doppiatore di Marlon Brando che interpreta don Corleone, gestisce i suoi traffici come se fosse il consigliere di don Corleone e si percepisce come un eteronimo di don Corleone.
E' questo dunque a nostro giudizio il vero problema, sempre che Pinochet sia in grado di tenere. Ciò che importa è che quando sarà ci lasci in discreta salute, e non come Francisco Franco, intubato, o come António de Oliveira Salazar, precipitato dal seggiolone. E neppure sull'attenti, sarebbe volere troppo. L'ideale è in poltrona con le gambe accavallate e un libro aperto sulle cosce, chissà se l'uomo è mai stato un presidente da Studi Ovali, honny soit il servizio segreto che pensa male, la sua icona corrente è da salotto postvittoriano e da saggi sull'intelletto umano, perché va dimostrato che c'è sempre stato del marcio negli eccessi della democrazia coloniale e peninsulare e che ciò che conta davvero nella mela è il torsolo, dove non osa neppure il verme. Che Dio lo conservi a lungo.





L'ex dittatore cileno Augusto Pinochet