CULTURA  
giovedì 15 aprile 1999, S. Anastasia  
   
La vita non è tutta letteratura
Un arruffato José Saramago dice la sua
tra premi,
politica e cani
INCONTRI A Torino è arrivato
il premio Nobel

di Alessandro Dell'Aira


Sorprendente. Piacevolmente sorprendente. Con queste parole José de Sousa Saramago, in poltrona, un po' arruffato, si interessa al progetto Trentino - Portogallo, inedito, dice, rispetto ai soliti scambi Roma - Lisbona. E' lusingato ma non per sé: per il suo paese, per la sua lingua. E prima di congedarsi, più tardi, già in piedi, ci stringe la mano e si lascia scappare una mezza promessa: a settembre forse verrò da voi. L'altra mezza, con un sorriso dolce, ce l'ha fatta sua moglie Pilar, che è spagnola, con gli ultimi onori di casa. La affiancavano gli ospiti torinesi Giancarlo Depretis e Pablo Luis Ávila, cortesissimi, che con Cesare Segre e Gian Luigi Beccaria hanno appena dedicato all'amico più che celebre «La statua e la pietra», portando a maturazione una sua lezione accademica dell'anno scorso.
A Torino e all'Einaudi Saramago è di casa. In salotto e dappertutto un'orgia di quadri e piatti di ceramica alle pareti, e di statuette portoghesi in una nicchia del corridoio foderata di azulejos, impettite in processione su tre ripiani di vetro. Poco più in là, pestelli di rame e acquasantiere, alcuni splendidi mobili antichi, piemontesi, libri, naturalmente, e lui, don José, statuario, essenziale, incline al sorriso solo a tratti, affabile con tutti com'è suo costume.
Si è illuminato in viso la prima volta quando uno di noi gli ha chiesto di fare un bilancio della sua opera di premio Nobel, il primo concesso a un autore di lingua portoghese. «Non ne ho ancora avuto il tempo», risponde. «E poi, il libro definitivo non esiste», aggiunge. Scrivere è la sua passione appagata, si capisce. Due pagine al giorno, sempre, a pensarci fanno tre bei volumi in un anno. Scrive anche quando pensa, don José, dentro le rughe della fronte, quando socchiude i suoi occhi di falco miope sono le virgole, e quando li spalanca sono le maiuscole, lui ama metterle dopo le virgole.
Da dietro le lenti ci studia e ci orienta, senza parere, come fa un bravo professore di filosofia con un gruppo di alunni venuti a ripetizione privata in salotto una settimana prima dell'esame. Il viaggio? E' del corpo e della mente, è una specialità degli uomini, gli animali non viaggiano, si spostano, migrano. I nostri nomi? Sono sempre meno importanti, non contano quasi più niente, ci sono i numeri delle carte di credito. La letteratura? Non è tutto nella vita. Le decisioni? Sono loro a prenderci, non le prendiamo noi. Dio? Lasciamolo in pace, se esiste.
E mentre parla di Dio, io penso che Dio dev'essere una decisione per don José de Sousa Saramago, statua di carne e pietra del Ribatejo, se è vero che su uno scaffale del suo studio di Lanzarote c'è una fotografia con una scritta che dice: «Dieu te cherche». Non ce lo ha detto lui, l'ho trovato scritto in una vecchia intervista. Dio ti cerca. Invece lui, ci racconta, a Lisbona una volta è stato cercato e avvicinato da due signore di una qualche setta, che gli hanno chiesto: il signore è interessato a conoscere il progetto di Dio? Ci fa capire, don José, che a giudicare da quello che constata ogni giorno, lui al progetto di Dio preferisce non pensarci.
I migliori scrittori e poeti italiani? Calvino, Sciascia, Ungaretti, Montale e il «giovane» Del Giudice. E subito ricorda la sua telefonata scherzosa a Fo di quando diedero il Nobel a Dario, e l'incontro casuale e cordiale con Dario alla fiera del libro di Francoforte, quando hanno dato il Nobel a lui. Due Nobel della letteratura che a momenti si urtano l'uno con l'altro senza volere, non era mai successo. I casi della vita, che non è tutta letteratura.
Don José è orgoglioso del suo Nobel, e anche del Camões ricevuto quattro anni fa. Il Camões è il premio letterario assegnato ogni anno dai governi di Lisbona e di Brasilia al migliore scrittore di lingua portoghese. E' stato anche la nemesi dello sgarbo che un sottosegretario alla Cultura gli fece nel 1992, escludendolo dalla rosa del Premio Letterario Europeo a causa del «Vangelo secondo Gesù Cristo», che il sottosegretario, ma non soltanto lui nel governo, giudicò inadatto a rappresentare il Portogallo in Europa.
Fu allora che Saramago decise di fare contenta Pilar, e con armi e bagagli si trasferì con lei alle Canarie, nell'isola di Lanzarote che ora è la loro base. Pilar è andalusa di Siviglia, José di Azinhaga, profondo Ribatejo. Una spagnola e un portoghese molto affiatati, rispettosi l'uno dell'altra. Innamorati l'uno dell'altra ed entrambi innamorati di Lanzarote.
Delle isole, specie se piccole e deserte, Pilar e José devono sentire il fascino: lui ci ha parlato di Robinson Crusoe e del suo rapporto con l'isola come esempio di libero arbitrio condizionato; alla scoperta delle isole conosciute ha dedicato un libretto, tipico esempio di prosa artistica e didascalica, simbolica e lievemente ironica, saggio semiserio sulla sua visione del mondo e delle isole.
La realtà ci sfugge e lui con parabole cariche di immaginazione, compassione e ironia ce la rende comprensibile. E' un giudizio degli Accademici di Stoccolma. Progetti? Punti di arrivo? Solo il futuro può dirlo, e ride a denti stretti don José, che tante volte nella vita ha ricominciato daccapo, prima un impiego pubblico, poi traduttore editoriale, poi ancora giornalista, quindi scrittore in proprio, e sempre ancorato, anzi prudentemente zavorrato e trattenuto a terra dai suoi principi etici di base.
Oggi si gode il Nobel e lavora. Amarsi gli uni con gli altri? Un momento, anzitutto rispettiamoci. Siamo una specie schizofrenica, il mondo ha bisogno dei nostri no. No, a che cosa? All'ignoranza, alla miseria, alla globalizzazione come Nuovo Impero, ai grandi progetti pensati a casa, da enunciare in poltrona e da applicare lontano da casa, dove noi non siamo. No alla guerra e alla violenza, nel Chiapas o nei Balcani. La Nato? Ha portato nel Kosovo una guerra che non poteva fare, ma Milosevic, anche lui è responsabile, da dieci anni si rifiuta di concedere al Kosovo l'autonomia.
E' un uomo sempre in viaggio don José, con il corpo e con la mente. I suoi settantasette anni non li dimostra, è nato in campagna nel Ribatejo un mese dopo la marcia su Roma degli italiani, nel novembre del 1922, e per sua ventura non possedette libri fino a diciott'anni, cioè grosso modo fino alla nostra entrata in guerra.
Con una vita così se fosse nato in Italia oggi sarebbe uno scampato. A parte gli inediti, che lui solo sa quando tirerà fuori dai cassetti, il primo romanzo lo ha pubblicato nel 1977, «Manuale di pittura e calligrafia», la sua storia. Cinque anni dopo, il primo successo, «Memoriale del convento», in cui, ancora una volta, concilia più livelli narrativi. Poi il tributo al mostro sacro Fernando Pessoa, con «L'anno della morte di Ricardo Reis», fissata al 1936, l'anno di «Conversazione in Sicilia» di Vittorini: una maschera letteraria che sopravvive al suo inventore quanto basta per farsi accompagnare all'altro mondo da lui.
Quindi «La zattera di pietra», la penisola Iberica alla deriva con i suoi problemi e i suoi teatrini della politica. Nel 1989, quando cade il muro di Berlino, la «Storia dell'assedio di Lisbona», ma solo una coincidenza: un romanzo su un romanzo, che solo un traduttore e revisore innamorato di una collega poteva concepire e architettare come metafora della libertà di dissentire dai testi e dai contesti, e di reinventarli.
Nel 1991 il «Vangelo secondo Gesù Cristo», uno scandalo, la pietra che frantuma la statua e viene fuori come un magma. E finalmente il «Saggio sulla cecità» e «Tutti i nomi», in cui il pessimismo di Saramago si accentua.
Ma lui non è solo i romanzi. Ci sono i diari di Lanzarote, le poesie, il teatro, i saggi, i viaggi. Del corpo, della mente e della ragione. Con il viaggiare della mente don José de Sousa Saramago va dietro alla ragione, te la cerca negli occhi e dovunque fermi lo sguardo.
Anche per caso, ad esempio sulla collezione di acquasantiere degli ospiti, non sia mai che gli venga in mente il titolo di un romanzo, lui i romanzi li ha cominciati tutti dal titolo. Giorno per giorno, di giorno in giorno, due pagine al giorno, un piccolo viaggio al giorno. Il suo cane Camões lo sta aspettando a Lanzarote, lo aspetta là da quando al padrone hanno dato il premio Camões, gli animali non viaggiano, aspettano. Anche gli uomini, anche i Nobel aspettano quando non viaggiano.
Cosa? Solo il futuro può dirlo. Cosa siamo venuti a fare a Torino da lui? Un viaggio, è chiaro, per le domande bastano i fax. Arrivederci don José, arrivederci Pilar, vi aspettiamo a Trento, a settembre. E se non è di troppo disturbo, portatevi dietro Camões.





Qualche anno fa: José Saramago, a Lisbona




Oggi: in casa di amici, a Torino