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La presentazione dell'edizione critica







Ritratto di Martino Martini in abiti cinesi

 
   

E Martini diede le coordinate alla Cina
Descritti 15 Stati e 2500 località con latitudine e longitudine
L'Atlante. Presentata l'edizione critica





di
Alessandro Dell'Aira


L' ATLANTE DI MARTINI ai primi dell'Ottocento era oro colato per le navi inglesi e americane che incrociavano nelle acque della Cina, dopo il predominio di spagnoli e portoghesi. Dunque lo strumento era ancora valido ai primi dell'Ottocento, pur in presenza di opere più recenti come quella di D'Anville, pubblicata nel 1735.
Così ieri sera Federico Masini, docente alla Sapienza ed erede scientifico di Giuliano Bertuccioli, ha concluso la sua relazione nella Sala degli Affreschi della Biblioteca Comunale di Trento, in occasione della presentazione dell'edizione critica in lingua italiana del terzo volume del Novus Atlas Sinensis. Giuliano Bertuccioli è mancato poco più di un anno fa. E' stato curatore dei primi due volumi dell'opera omnia diretta da don Franco Demarchi, docente emerito dell'Università di Trento e fondatore del Centro Studi dedicato al grande gesuita trentino. Bertuccioli non è stato solo un sinologo accademico. Nei primi anni Settanta ricopriva il ruolo di ambasciatore d'Italia in Corea quando monsignor Luigi Bressan, oggi vescovo di Trento, era nunzio apostolico a Seoul. Lo ha ricordato lo stesso Bressan, nel breve intervento che ha preceduto quello di Pierangelo Schiera, docente di storia delle dottrine politiche nell'università di Trento.
La grande novità dell'Atlante Cinese, pubblicato dal Blaeu ad Amsterdam nel 1655 con due frontespizi a scelta, uno per i protestanti e l'altro per i cattolici, consisteva nell'aver adattato i meridiani e i paralleli alle carte che adottavano la proiezione di Mercatore. Novità non da poco, visto che all'epoca, risolta agevolmente la questione della latitudine, non si sapeva ancora come misurare la longitudine. La relazione di Masini ha messo l'accento sull'importanza scientifica dell'Atlante Cinese. In 171 pagine vi si descrivono quindici stati e 2500 località con l'indicazione della longitudine, scrupolosamente annotata considerando il meridiano di Pechino come meridiano zero. Con la sensibilità dei futuri antropologi, l'autore àncora all'Impero di Mezzo, e cioè alla Cina, la sua descrizione cartografica.
Ciò comunque non gli impedisce di condannare la tradizione cinese del fasciare i piedi delle donne. Durante il viaggio di ritorno in Europa, prima di approdare nel regno di Danimarca e Norvegia Martini sostò più di un anno nelle Filippine e a Batavia, dove in base alle fonti che aveva con sé selezionò il materiale per l'edizione di Amsterdam. La ragione ufficiale del suo rientro in Europa, dopo un breve soggiorno a Pechino, era di rappresentare a Roma la Compagnia di Gesù nella discussione teologica sui riti che i cinesi tributavano agli avi. Martini colse l'occasione propizia e prima di scendere a Roma si fermò ad Amsterdam per curare nei dettagli l'Atlante, affidandolo a uno dei migliori editori europei.
Le sue fonti erano di tre tipi. Anzitutto l'informazione diretta, quella del sapere per aver visto, come aveva insegnato Erodoto. In secondo luogo, le opere degli occidentali che si erano occupate in qualche modo della Cina. In terzo luogo, le fonti cinesi per l'identificazione dei toponimi.
Pierangelo Schiera ha bene evidenziato come il metodo descrittivo del Martini abbia inquadrato per la prima volta l'Occidente come provincia del mondo; e come la visione politica del suo Atlante non sembri dominata dalla teologia ma da una visione moderna dello Stato, sulla strada aperta dal grande gesuita Giovanni Botero. Potrà darsi tuttavia che la prossima pubblicazione del De Bello Tartarico in edizione italiana, con la notizia in anteprima dei Ming vinti dai King e dell'insediamento della nuova dinastia nel Palazzo imperiale di Pechino, aggiunga altra luce alla questione.


 
 
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