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Giovedì 15 luglio 1999





Nuovi documenti confermano
che il Genio è l'eroe
delle Dodici Fatiche

Alessandro Dell'Aira

QUELL'ERCOLE SCONFITTO
DAI GIOCHI
DEL FESTINO

La Palermo sconosciuta








Palermo. La Fontana di Ercole nel 1778.




ERA IL 17 DI LUGLIO, un lunedì pomeriggio. Il terzo del mese e anche l'ultimo dei cinque giorni di un Festino qualsiasi, quello del 1780. Il viceré era molto nervoso, come tutti i mortali nei lunedì di vento. La risacca spazzava la Marina, con gli spruzzi un po' troppo alti e stizzosi sfidava la gente che sformicolava dentro gli emicicli della Strada Colonna. Il castello di travi dei fuochi era montato al centro di quello a est, tra la Porta Felice e la Villa, e ondeggiava come il baldacchino di un Cristo portato in processione. Mancavano poche ore all'incendio della miccia, razzi e cartocci erano già quasi tutti legati al loro posto. I presenti giravano in tondo, curiosavano e speravano, ma una cosa era certa: non era mare da barche e dunque nessuno si sarebbe goduto lo spettacolo dal golfo, quella notte. Una iattura, il Senato aveva impegnato una gran cifra, come ogni anno. Un giorno di Festino saltato, cento giorni di disgrazie. E ora anche quel maledetto travame che non si poteva guardare da quanto si dimenava: rischiava di cadere, ma non era solo colpa del vento.

I tecnici erano furiosi con il viceré Colonna e la sua mania di rivaleggiare con l'omonimo antenato. Niente da fare, il nuovo Marcantonio non era all'altezza. Il primo dopo due secoli giganteggiava ancora, come i pilastri della Porta dedicata alla consorte. Era stato uno sciupafemmine, altro che malaticcio come il discendente, che si era precipitato a Napoli a curarsi. Non gli bastava la nuova Villa intestata a donna Giulia Guevara sua moglie? Se ora quell'enorme traliccio gemeva ed era sul punto di rovinare, iattura nella iattura, era solo colpa sua e non dei tecnici che avevano fatto il possibile per montarlo intorno alla vasca. Già, era il terzo anno che avevano tra i piedi quella fontana. E dire che stava così bene, così riparata nella piazza Caracciolo. Serviva anche a sciacquare qualche panno, vietato o no faceva comodo a tutti. E invece no, il viceré aveva detto che alla Vucciria era sprecata, che era roba dei Colonna e dunque andava spostata sulla loro Strada, in uno dei due emicicli, quello libero, con la statua di spalle al mare. Nell'altro emiciclo, di fronte al Càssaro e nella luce della Porta, aveva fatto mettere la fontana dei Quattro Leoni, che un tempo ornava il Teatrino di Paolo Amato.

Ercole rimase più di due anni a guardare il passeggio, al freddo d'inverno e al caldo d'estate. Di giorno al sole ad annoiarsi, di notte al buio a origliare sospiri e segreti con avviticchiata intorno quell'Idra dalle teste aperte a fiore di gioco di fuoco. Perché era finito lì? Perché quell'Ercole per il viceré era un'altra ottima occasione per assimilarsi all'avo, molto amico dei genovesi di Palermo che gli avevano dato il miglior benvenuto il giorno del suo arrivo. Sei il nostro baluardo, gli avevano gridato, sei entrato a Palermo nel giorno di San Giorgio nostro patrono, a Lepanto ci hai liberati dai Turchi e sconfiggerai anche i bubboni del drago di Palermo. Era l'aprile del 1577, la gente in città moriva di peste da due anni. Marcantonio si adoperò tanto per fermare il contagio, che in segno di gioia e gratitudine, in occasione del Natale del 1578, si era voluto assecondare un suo desiderio: una fontana nuova con Ercole e l'Idra. Fu ordinata dal pretore Nicolò Spatafora a uno dei Gagini, Vincenzo.
Marcantonio ammirava molto il San Giorgio di Antonello Gagini della chiesa di San Francesco, fatto a spese dei mercanti genovesi nel 1526. Diceva spesso che il patrono di Genova era come Ercole, che di colonne ne aveva piantate due tra l'Africa e la Spagna. Lui nello stemma ne aveva una sola, ma era anche lui un gladiatore di Dio, aveva debellato la peste, in nome del papa aveva alzato la testa e la voce con il tribunale locale dell'Inquisizione, sfidando anche il partito spagnolo. Al punto che avevano fatto una spiata a Filippo secondo: il Colonna gioca con il suo nome e con Ercole nelle fontane perché vuole che si parli di lui. Vuole diventare re di Sicilia. E la femmina di quell'altra fontana non è la Sirena, è la sua amante Eufrosina, la moglie del barone Corbera di Miserendino. Vera o non vera, ci rimisero la pelle in parecchi per quella storia. Perfino Marcantonio, si disse, morto a Medinaceli sulla via di Madrid, forse di veleno, quando ormai aveva chiuso con Palermo. Era stato un ingenuo a fidarsi di chi gli aveva promesso il comando dell'Invincibile Armata.

Questo si raccontavano due gentiluomini senza parrucca e con i capelli al vento sulla Strada Colonna, a prudente distanza dal mare e dal castello di legno, quando una folata più forte delle altre fece vibrare e gracchiare le travi. Una cedette ma non si ruppe del tutto. Il castello smise di oscillare e si sbilanciò, la gente si disperse e anche i due gentiluomini fuggirono. I tecnici si tolsero da sotto quando capirono che non c'era più niente da fare. Si allontanarono in fretta ma non di corsa. Sapevano che al massimo ci avrebbe rimesso le penne quell'Ercole di marmo. Meglio così. Sia fatta la volontà di Dio, per il Festino del 1781 non avrebbero più avuto quel fastidio.


   

Questa storia è verosimile. È ispirata a un disegno di Ignazio Locatelli, ricopiato con le lacrime al cuore dal solito marchese di Villabianca nei suoi Diari palermitani, con l'aggiunta di alcuni appunti preziosi. Questa statua nel dì 17 luglio del 1780 andò a finire e così restava fatta in pezzi dalla travame del Giuoco di fuoco di Mare della festa di S. Rosalia che vi si rovesciò sopra dalla violenza del vento. Non vi è più, fu rovinata. E sotto: Fontana di Ercole del maggior cerchio della Banchetta Marittima di Porta Felice, eretta tràl Marzo del 1778. Ignazio Locatelli delineavit. In un'altra occasione, come ricorda Maria Clara Ruggieri Tricoli, il marchese definì quell'Ercole "un de' genii de' cittadini palermitani". È' questa un'altra prova a sostegno della nostra ipotesi che il mito di Ercole e l'Idra è la fonte iconografica del Genio di Palermo. Resta da accertare la provenienza della "metopa" del Cippo Smiriglio, che rappresenta lo stesso episodio e dunque è nota a Palermo con ogni probabilità in data anteriore all'incarico affidato a Vincenzo Gagini per l'esecuzione di questa fontana, il 9 gennaio del 1579.

 
 
   
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