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Studiare stanca
più di lavorare

alessandro dell'aira
 

L'aspirazione forse più diffusa tra gli studenti di oggi, già al primo anno di scuola superiore, è di trovare subito un lavoretto, qualche che sia. I motivi sono tanti: avere un po' di soldi in tasca per il fine settimana, sentirsi autonomi, poter contare di più tra i pari come consumatori di mode correnti. Alibi (ma non sempre): contribuire alle spese scolastiche della famiglia. In alcuni questa aspirazione nasce dall'insofferenza per la supposta tetraggine della vita di scuola: una scuola antiquata, costrittiva, improduttiva.


Ed è così che la voglia di evasione ha la meglio, e si passa dalla ricerca di un'occupazione gradevole e poco impegnativa alla domanda di lavoro occasionale, retribuito male, da fare di nascosto o anche con il consenso dei genitori, magari prendendo alla lettera una piccola minaccia a fin di bene: «Non ti mantengo più, non ti mando più a scuola! A lavorare!» Finché non si trova qualcosa che somiglia o non somiglia affatto a quello che si stava cercando, e si molla lo studio. Salvo ripensarci quando si scopre: primo, che lavorare per lavorare stanca; secondo, che fare finta di studiare stanca molto meno (chi lavora sotto padrone e fa finta di lavorare non ha la vita facile); terzo, che le ferie di un neoassunto in nero sono cosa molto diversa dalle vacanze di uno studente anziano, per quantità e qualità. Allora si pensa di tornare a scuola, un po' scornati e un po' per fare contenti i grandi, genitori e docenti. Anche perché, chissà, magari erano stati loro a trovare quel lavoretto, poco più di un passatempo, coerenti con il cliché di genitori e di docenti alla mano, con il risultato che ora il neolavoratore ex studente si sente in crisi anche sul «lavoro», l'estate si avvicina e con l'estate si avvicinano le vacanze degli altri, altro che ferie. E allora se va bene si fa quello che non si avrebbe voglia di fare, e cioè si torna a scuola. A scuola, senza le virgolette.

Così, tra scuola, lavoro e famiglia, a qualcuno è venuto in mente che se è la scuola ad occuparsi sul serio di questa esigenza giovanile, il ragazzo o la ragazza in crisi potrebbero rinunciare ad abbandonare gli studi o rinviare la cosa ad altro momento, appagati dalla proposta di un'occupazione estiva o saltuaria, in qualche caso anche autunnale, invernale o primaverile ma compatibile con lo studio, che possa servire a recuperare il senso dell'essere studenti, a dare nuove motivazioni allo studio.

In questa logica e con questi obiettivi sono nate molte società di servizi che si rivolgono al mondo degli studi superiori e si occupano di mettere in rapporto la domanda e l'offerta di occupazione, anche precoce, mediante convenzioni con enti pubblici disposti a finanziare parte dell'operazione. Per la verità queste proposte sono rivolte quasi sempre agli studenti del penultimo anno, ma da qualche tempo si nota la tendenza ad anticipare e a dare per interessati anche gli studenti più giovani. Queste società, che propongono la creazione e la gestione di imprese, forniscono di solito il supporto organizzativo alla fondazione di imprese simulate, in grado di assumere rischi contenuti secondo i modelli classici delle società di capitali.

A nostro parere, tuttavia, la simulazione di un meccanismo di impresa, nel momento stesso in cui consiste nella riproduzione mignon dei meccanismi cooperativi eaziendali, risponde forse all'esigenza educativa di riflettere e far riflettere sui concetti di lavoro e cooperazione, ma non alla domanda reale dei giovani, che intendono tastare il terreno e inoltrarsi con le proprie gambe in una giungla che li attrae proprio perché fa paura, a loro e ai grandi.

Non tutte le scuole superiori consentono un approccio che non sia simulato. I licei, ad esempio, sono prevalentemente impostati su una formazione basata su conoscenze, competenze e capacità di comunicazione verbale, sul dominio dei saperi anziché delle tecniche. Forse sono gli ambienti meno adatti a programmare business simulati alle soglie dell'esame finale. A meno che il business non riguardi il settore dell'informazione e delle nuove tecnologie, in molti casi note ai giovani allievi più e meglio che ai professori. Al di là di una biblioteca da riordinare (sotto l'occhio vigile e scettico degli addetti professionisti), di una collaborazione a un museo, o a una rivista di cultura locale, che lavoro si può fare da liceali con tanta voglia di rimboccarsi le maniche subito? È vero o no che basta la fantasia, che bisogna prepararsi a cambiare lavoro più di una volta nella vita, che bisogna adattarsi al cambiamento? Che alternanza con il lavoro può cercare un liceale nei ritagli di tempo, con l'aiuto della scuola e degli enti locali?

Non ha molte scelte, in apparenza, a meno che non gli capiti un'occasione al volo. Per i tecnici, invece, si ritiene che vi sia più spazio perché alcune materie scolastiche si possono far fruttare subito: il disegno assistito dal computer, gli elementi di topografia, i linguaggi di programmazione, la conoscenza di un buon pacchetto di software applicativo. Quanto alle strategie e alle tecniche di produzione, i ragazzi di oggi ci tengono a dimostrare, come quelli di ieri, che se vogliono sono capaci di organizzare una partita, un concerto, una gita, una campagna di beneficenza. Il problema è che a volte si rifiutano di applicarsi con lo stesso entusiasmo ai saperi proposti dalla scuola perché costituzionalmente e storicamente debordanti dai loro interessi, come è sempre stato. Ed ecco allora cosa si potrebbe proporre, a nostro parere.

Questa gran voglia di organizzazione applicata a una dimensione scolastica, con prospettive di coinvolgimento gestionale, può essere intesa come aspirazione a muoversi in un'area di mercato che all'inizio coincide con la scuola in senso fisico, e poi in senso più ampio, di ambiente, di settore, di servizio. Anche senza la frenesia di guadagnare qualche lira, basta la voglia di fare e poi la coscienza di aver fatto e la scoperta di aver saputo fare. Questo genera un'aspettativa nei giovani e negli adulti e può essere il germe di un impegno da canalizzare in altre direzioni. Alcuni esempi: gestione dei laboratori didattici; rapporti con il pubblico su questioni studentesche; partecipazione all'organizzazione di gite di classe, giornate verdi o della neve; appalto di lavori in rete strutturati e programmati come ricerche tradizionali; produzione di materiale multimediale; appunti tascabili, anche per altri gruppi o altre classi, su tracce fornite dagli insegnanti, da arrotolare e da usare come pronto soccorso durante le prove scritte... una lista che non finisce mai.

Questo è un modo di organizzare la scuola secondo i parametri del terziario avanzato. Una forma di autogestione ordinaria e non di emergenza. Vogliamo o no chiamare gli studenti a lavorare con noi dentro la scuola? O dobbiamo aspettare che scoprano da soli che studiare per studiare stanca di più che lavorare per lavorare?