di Alessandro
Dell’Aira
Penso dunque suono. Facciamo il verso al
Cogito ergo sum di Cartesio per cercare
maldestramente di spiegare in tre parole che
cos’è “La coscienza
di Arturo. Dialogo sull’interpretazione
musicale” di Nino Gardi,
edito di recente da La Finestra di Marco
Albertazzi, e presentato a Trento l'altra sera.
Arturo è il nome fittizio che più si addice a
un pianista simbolico che invita a casa propria
degli amici altrettanto simbolici, non tanto per
ascoltare musica quanto per dialogare sulla
musica e sulla sua interpretazione. Al centro
dell’interesse speculativo del gruppo di
amici c’è infatti la coscienza
dell’interprete-esecutore.
Se la coscienza di chi ascolta musica è la
capacità di sentirla con la ragione, senza
troppi trasporti del cuore, al di là dei brividi
a fior di pelle, per gli interpreti-esecutori di
musica la coscienza della musica suonata
cos’è? Quando un pianista interpreta Bach,
Ravel, Hindemith, Prokofieff, si può dire che
sia in grado di pensare la musica in atto? Se
pensa a quello che sta suonando, e come lo sta
suonando, lo fa col cervello o con le orecchie?
Stiamo un po’ banalizzando una questione che
è di pura conoscenza, oltre che di estetica,
così come la pone Nino Gardi, triestino di
razza, valente pianista e direttore di orchestre
da camera, altrettanto sapientemente introdotto
da Quirino Principe, goriziano, ex direttore
artistico della Scala, musicologo e critico.
Gardi è della città di Svevo, ma Arturo non è
Zeno e la sua coscienza non è il superamento
delle proprie bizzarre fantasie mentali. La
coscienza di Arturo è la capacità di capire la
propria interpretazione musicale nel suo
divenire. Noi non possiamo accompagnare una nota,
né possiamo suonare e pensarci sopra. Perché la
musica è in atto, come diceva Paul Valéry. La
pretesa di dominare con la ragione le note che
scaturiscono da uno strumento sotto le nostre
mani rallenta e spesso pregiudica in noi la
percezione della loro intensità. Di tutto questo
si discute nel salotto di Arturo, dietro il cui
nome che evoca la proverbiale coscienza artistica
di Benedetti Michelangeli si cela lo stesso
Gardi. La forma del dialogo è platonica, lo
spirito che lo pervade è illuministico. Ciascun
personaggio incarna una sfera del sapere
intellettuale. Così ad esempio Emmanuele è uno
studente di filosofia, Sigmund uno studente di
psicologia, il Grande Vecchio è il vecchio
maestro, mentre Franco è il Convitato semplice,
il cui ruolo strategico consiste proprio nel
chiamarsi Franco, come avviene per un
“onesto” personaggio di Oscar Wilde,
quell’Earnest il cui nome è di grande
importanza. Per intenderci, è Franco che
nell’ascolto della musica di Arturo si
lascia candidamente guidare dal “sentimento
immediato”, suscitando l’orrore e il
disappunto degli altri.
La prima lettura del dialogo è agevole, mentre
più complesso risulta cogliere le relazioni di
secondo livello che intercorrono tra l’uno e
l’altro personaggio, e dunque tra l’uno
e l’altro approccio alla musica da capire
mentre la si suona. Può essere agevole, per
esempio, comprendere che la musica non sta nelle
note ma cammina e si muove con loro, mentre meno
immediata può risultare la percezione
intellettuale del contesto del dialogo, così
come “nella percezione auditiva, le qualità
di un suono sono modificate dal contesto sonoro
in cui il suono è inserito”. D’altra
parte, per il lettore che legge con coscienza un
libro come questo, l’atto del suo leggere
equivale a una sorta di autoanalisi in corso di
lettura. Uno dei punti critici, tra i molti del
dialogo, è la riflessione sulla differenza di
significato tra esecuzione e interpretazione.
L’interpres è colui che stabilisce il
valore, il “pretium” di qualcosa, il
possibile punto di incontro tra chi propone una
merce, un’idea, un testo, e chi intende
farli propri (non solo accedervi, o usarli, o
fruirne). Se l’esecutore non affronta
progetti interpretativi finirà per disporre di
pochi margini di autonomia. Per questa ragione
Arturo fa al gruppo degli amici un resoconto di
ciò che prova mentre tiene le mani sulla
tastiera, anche solo il piacere assaporato
“del silenzio che precede
l’attacco”. E’ una sorta di
invocazione alla Musa, prima di mettersi a
“suonare nell’eco dei propri
suoni”. Per eseguire un suono come si deve,
il pianista deve figurarselo mentalmente e
sonoramente — in questo Benedetti
Michelangeli era un vero maestro — e tenerne
memoria. Concludiamo con una bella citazione da
“Il crudo e il cotto” di Lévy-Strauss,
ripresa da Nino Gardi: l’intersezione tra il
pensiero logico e la percezione estetica deve
“necessariamente ispirarsi all’esempio
della musica, che la ha da sempre
praticata”. E cioè Penso dunque suono, come
si diceva all’inizio.
Nino Gardi, La coscienza di Arturo. Dialogo
sull’interpretazione musicale. La Finestra,
Lavis, 2003. 168 pagine, 18 euro.