VENERDÌ, 12 MARZO 2004

Martini, via da Trento.
Così la Cina era vicina


Pagina 49 - Cultura e Spettacoli

L'EVENTO
DA OGGI AL MUSEO DI SCIENZE L'ATLAS SINENSIS DEL GEOGRAFO
 





 
     
 
 


di Alessandro Dell’Aira

Sarà presentato al pubblico, da oggi alle 17.30 al Museo Tridentino di Scienze Naturali, un gioiello bibliografico, il Novus Atlas Sinensis del gesuita trentino Martino Martini (1614-1661) in edizione facsimile dell'omonimo Centro studi che ne ha curato l'edizione. L'opera si compone di 22 tavole in folio di circa 50 per 70 centimetri, ripiegate a metà, che riproducono fedelmente le diciassette carte geografiche originali pubblicate dall’editore Johannes Blaeu di Amsterdam nel 1655, sotto la guida e la supervisione dello stesso Martini.


I facsimili di codici e libri di pregio, oltre che a fare da “controfigure” degli originali inaccessibili ai più, hanno un alto valore intrinseco e un fascino scontato. Basti pensare ai lussuosi facsimili dei codici leonardeschi o dei Vangeli miniati custoditi nella Biblioteca Vaticana. Sicché la comparsa di uno di questi gioielli è un evento bibliografico di rilievo, come nel caso del Novus Atlas Sinensis del gesuita trentino Martino Martini (1614-1661), che sarà presentato oggi. Da notare che una prima edizione anastatica in formato quarto dell’Atlante e del suo supplemento De Bello Tartarico era stata già pubblicata in occasione del Convegno di studi del 1982, organizzato per celebrare la figura del gesuita trentino, rimasta in ombra per secoli e recuperata qualche tempo prima per interessamento dell’allora assessore provinciale alla cultura Guido Lorenzi. Dopo l’enfasi della riscoperta del personaggio, si è passati alla riflessione scientifica sul suo ruolo di mediatore culturale tra Europa e Cina in un secolo segnato dai conflitti tra le nazioni e dalla corsa alle nuove rotte e ai nuovi mercati. Questa seconda fase di studio ha visto la fertile e instancabile attività di don Franco Demarchi, recentemente scomparso, coadiuvato dai suoi collaboratori trentini Riccardo Scartezzini, direttore del Centro, e dalla segretaria Miriam Lenzi, e per l’Atlante dai sinologi Giuliano Bertuccioli, scomparso anche lui da poco, e Federico Masini, preside della facoltà di Studi Orientali dell’Università La Sapienza di Roma. I volumi finora pubblicati dal Centro sono tre: il primo riguarda le lettere e i documenti di Martini, il secondo le sue opere minori, il terzo in due tomi è l’edizione critica del testo del Novus Atlas Sinensis. Il quarto volume, previsto entro l’anno, proporrà la Prima decade di Storia cinese, mentre il quinto, atteso per il 2005, sarà dedicato all’opera forse più letta e discussa del gesuita, quel De Bello Tartarico che svela all’Europa in anteprima l’identità degli artefici del tramonto dei Ming e del trionfo della nuova dinastia King: il popolo dei Tartari, noti in Occidente anche come Manchu, portatori di una nuova concezione del mondo e di nuovi valori.

I saggi introduttivi di Scartezzini, Bertuccioli e Masini inquadrano l’opera nel contesto delle esplorazioni geografiche e della nuova cartografia, della Cina presentata all’Europa e della genesi e struttura dell’Atlas. Le tavole colorate catturano emotivamente la curiosità di chi le sfoglia, con l’accuratezza degli itinerari riprodotti, la vivacità dei personaggi che affiancano i cartigli nei loro costumi variopinti, tipici della regione rappresentata, e anche con l’antiporta che è una narrazione a sé, da decodificare con attenzione nelle sue simbologie: papa Alessandro VI che si serve di uno specchio senza macchia per convogliare un raggio di sole su una fiaccola che divampa tra le mani di un puttino alato, con altri angioletti che si avviano sulla terra con i simboli della religione cristiana, mentre di sotto un Atlante gigantesco apre la porta di una muraglia, dietro la quale si intravede una distesa di colline. E’ la Cina svelata all’Europa. Un motto del profeta Isaia, nella traduzione latina di San Gerolamo, corre sul raggio di sole e invita gli angeli ad andare a soccorrere le genti convulse e dilacerate dell’Oriente. E infatti ai piedi dell’Atlante portinaio c’è una frotta di putti alati senza simboli religiosi, che osservano, misurano e rilevano il mondo attraverso le sue rappresentazioni e maneggiano in allegria gli strumenti dei geografi. La scena sembra voglia esprimere che una cosa è l’azione evangelizzatrice, altra cosa è l’azione scientifica. Del resto l’aspetto della misurazione è particolarmente curato nell’Atlante di Martini.