DOMENICA, 20 GIUGNO 2004
 

Lillo Gullo,
stare incagliato
dentro l'estate.
In versi



LA POESIA.







Pagina 52 - Cultura


 
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di Alessandro Dell’Aira


IN SICILIA, le parole scialo e sfrazzo (sfarzo) non designano tanto lo sperpero incondizionato, quanto l’impulso etico a scialacquare parte di ciò che si possiede (anche poco) per il puro piacere di apparire più ricchi di ciò che si è. Un siciliano che dice “Sono nello scialo”, “Botta di sfrazzo”, non esprime alterigia dissoluta ma esercita l’arte consumata del sopravvivere. Lillo Gullo, giornalista Rai in Trentino, poeta raffinato e siciliano incorreggibile, riassume quest’arte alla sua maniera: “Rattoppare la vita con lo spago del tempo”.

“Ogni giorno è più corroso, ogni giorno è più corto”. Sono altri due versi di Lillo che sfottono la morte, la Signora con la falce. “La morienza dei giorni” conclude “Sfarzo d’inesistenza”, la raccolta di liriche estive pubblicata di recente dall’editore roveretano Nicolodi, introdotta da Giorgio Bàrberi Squarotti.

L’uomo è nato per cedere. Ma se così dev’essere, l’uomo faccia virtù della necessità. Resista. Invecchi con onore, incagliato all’estate, tanto a ogni giro d’anno tornerà un’estate nuova, l’estate della terra madre, con le sue notti di passione crescente e calante, di lune nuove e piene, sfarzose e scialanti. Con questo libretto di poesie, Lillo Gullo, impegnato a invecchiare con saggezza, sembra voglia rispondere ai critici che nel rendergli onore del Premio Montale 1999, equamente diviso con altri sei poeti emergenti, lo salutarono con un clamoroso “Ecco un giovane”. Giovane a chi? Gullo è un residuo inesploso di quel piccolo mondo ammonticchiato, come lo definì Vittorini, di paesini alti sulla costa che regnano sul mare, e più alti e più piccoli ti sembrano al calare del sole, quando alzi la testa e li guardi dalla spiaggia con i piedi affondati nella rena che si sfarina e si raffredda. Gullo viene da quel mondo pagano dove il mare è un elemento libero come il vento, e più libero è se ci vai dentro e ti metti a nuotare, o ti metti in barca, vai al largo e lo senti pulsare di vita propria. Per tre stagioni l’anno Gullo lavora al nord, orfano di quella terra veneranda che d’estate torna a essere splendida per lui e per gli altri figli prodighi, sfibrati e non più giovani. Per quelli che tornano, l’estate è la stagione molle dei baci e dei cocomeri, che non sono più le angurie agostane dell’orto di una volta, verdi e tonde come la luna, chiazzate come i ramarri fuori, e rosse fuoco dentro. E tuttavia, se si vuole, i cocomeri piacciono, pur essendo bislunghi, coriacei, la scorza gialla e verde striata come le maglie dei calciatori, e la polpa non tanto zuccherina. Uno si sciala se si contenta, e chi si contenta gode. Baci un po’ sciapi e cocomeri spazzolati, nell’estate pagana, possono ancora piacere.

D’estate uno si siede sulla spiaggia e pensa. Oppure no, si riposa. Oppure, il più delle volte, se ne sta seduto e basta, come scrisse una volta Neal Cassady a Jack Kerouac, il vagabondo per eccellenza. Lillo Gullo riprende questo messaggio in epigrafe al suo libro di versi estivi. E si riposa dalla sua professione frenetica. Resta seduto, inerte, malinconico, incagliato nell’estate.Oltre l’ozio, oltre le stagioni. In uno sfarzo d'inesistenza.


Lillo Gullo, Sfarzo d'inesistenza. Prefazione di Giorgio Bárberi Squarotti. Rovereto, Nicolodi, 2004.
66 pagine, 7,50 euro .