Mercoledì 12 settembre 2007, p. 48
Cultura & Società
 
Magia
e testi sacri:
il bizzarro camino
di Villa Margon


di Alessandro Dell’Aira
 
NELLA SALA DEL BILIARDO di Villa Margon, di proprietà della famiglia Lunelli, a Ravina di Trento, c’è un camino chiuso da formelle bianche e blu, provenienti da due stufe demolite, databili tra il 1650 e il 1750. La trave e le cornici di pietra appaiono dipinte in tempi relativamente recenti con motivi geometrici simili per forma e colore ai motivi delle maioliche. Il rivestimento frontale consiste in due lastre rettangolari con scene mitologiche, ciascuna affiancata da lastre più strette con festoni di frutta che pendono da mascheroni alati; e in undici formelle quadrate disposte su due file, con scene sacre e motti latini dentro cartigli a volute. Le lastre rinviano alle Metamorfosi di Ovidio: a sinistra, Apollo che scuoia Marsia; a destra, Didone che maledice Enea, la cui nave si allontana all’orizzonte. Scorticamento e magia sono temi occulti, qui casualmente affiancati a emblemi mistici, in certo modo esoterici. La finta bocca del focolare è inquadrata fra due lesene a colonnine tortili ornate da motivi floreali: queste ultime, proprie delle stufe prodotte a Sfruz in Val di Non, richiamano quelle della stufa di Villa Campia-Maffei a Revò, datata 1753. Tra le due colonnine del camino di Villa Margon fu collocata una lastra di metallo con due portelli. Di conseguenza, negli anni, la camera del fuoco alimentata a carbone finì per sviluppare un calore eccessivo che provocò seri ma non irreparabili danni all’affresco retrostante del Salone centrale, con il Sacco di Roma ad opera dei lanzichenecchi.

Le due file di formelle, alcune delle quali risagomate, sono raccordate al resto da listelli bombati con un motivo a spirale. Esse formano un piccolo corpus di emblemi, di cui fu maestro l’umanista milanese Andrea Alciati, che nel 1531 combinò immagini e motti con brevi citazioni esemplari. L’emblematica sacra ne trasse ispirazione e conobbe il suo massimo sviluppo nella seconda metà del Seicento. Chi dipinse le formelle di Villa Margon riprese gli emblemi da un testo del diacono Johann Mannich, Sacra Emblemata, stampato a Norimberga nel 1624: lo abbiamo identificato con l’aiuto di Sara Damiani, del Centro Arti Visive dell’Università di Bergamo.




Nella penultima a destra della fila bassa un soffietto attizza le fiamme di un cuore poggiato su un libro aperto, per farne scaturire faville d’amore (Crescant, des Jova, favillae: l’emblema del Mannich, che riproduciamo, rinvia al Salmo 39,5). Nella seconda da sinistra c’è il pasto frugale del saggio, con una brocca che versa del liquido in una coppa e uno scaldavivande da cui escono sbuffi di vapore (Sapiens modico saturatur). Nell’ultima a destra un agnello su un libro chiuso contempla la mano di Cristo con la piaga a forma di croce greca (Malo sic liberor omni, “Cosi vengo liberato da ogni male”). La fila alta è composta da cinque formelle tematiche tra due formelle con una corolla stilizzata. Nella prima da sinistra, una mano che impugna una daga esce da una nube e sta per fendere un cuore, da cui sprizza del sangue che gocciola al suolo suscitando fiamme: Aut mortem aut elige vitam, ossia "Scegli, o la Morte (dello Spirito) o la Vita": è un rinvio al Deuteronomio 30,19. Nella terza formella, due braccia staccano raggi da un sole splendente per ravvivare una candela, il cui stoppino fuma ancora: il cartiglio recita Te numquam deseret, adsis, “(Dio) mai ti abbandonerà, restagli accanto” o “non perderti d’animo”. Nella quinta formella, in cui si legge Delevit crimina mundi, “Ha eliminato i crimini del mondo”, la mano piagata di Cristo scrive da destra a sinistra su un titulus crucis inchiodato alla croce e con due pesi pendenti. Alla croce è appesa una bilancia, metafora di giustizia e della croce stessa. Il messaggio del titulus (comunemente abbreviato in Inri, Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum) simula quello della reliquia conservata a Roma a Santa Croce in Gerusalemme, con la scritta in tre lingue che corre da sinistra a destra su tre righe, nell’ordine: aramaico, greco e latino.




Il camino fu ‘declassato’ a stufa in occasione dei restauri ottocenteschi della Villa, quando dall’odierna Sala del biliardo venne chiusa la scala che portava al piano superiore: la cornice fu sigillata con i pezzi di due stufe fuori uso, quasi certamente rimosse da due sale del piano superiore. Due portelli a parete per il caricamento della legna, infatti, sono ancora al loro posto negli angoli est del salone sovrastante quello degli affreschi di Carlo V. La stufa a formelle quadrate, molto più antica di quella a lastre rettangolari, probabilmente riscaldava la Stube cinquecentesca, installata nell’angolo in cui oggi c’è una stufa a olle moderna.

In una terza lastra non utilizzata e conservata a Villa Margone, della stessa mano e di identiche dimensioni di quelle montate nel camino, è raffigurata Minerva con ai piedi la civetta e una piramide sullo sfondo. E’ possibile che nei magazzini vi siano altre lastre e formelle di risulta. Potrebbero essere tutte maioliche di Sfruz, ma la stufa emblematica sembra appartenere a un altro ambito culturale. In un inventario del 1676 di Villa Margone, conservato nella Biblioteca Comunale di Trento, si menziona “un armario basso ripieno di ampolle e altri diversi vetri nella stanza vicino alla stuffa”, e un kit per alchimisti composto di “tre caldiere, un lambico col suo capello di rame, diverse ampolline di vetro in una cestella, due bacilli di maioliche e tre lambicchi di vedro”. L’inventario è degli anni di Michelangelo Mariani, che scrivendo sulle cose notevoli di Trento ricordò tra l’altro che ai tempi dei Fugger, antichi proprietari di Villa Margone, in quei sotterranei “si lambiccava il fumo a forza d’Alchimia; o si lavorava d’Alchimia a forza d’Oro”, con fragore notturno di catene, ululati di cani e andirivieni di falsari.

Fumi superstiziosi, maldicenze divampanti? All's well that ends well, direbbe Shakespeare, tutto è bene quel che finisce bene. Tutto si fonde, tutto si mischia e si rimischia. Questo allegro pastiche di maioliche bianche e blu esorcizza il passato.
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