Van Dyck, il ministro e le
tre età della scuola
LUCI DI POSIZIONE
Alessandro Dell'Aira
Ora che è giorno e che per l'ennesima volta mi
sono svegliato, sono a Roma sul Michelangelo che
sta per partire però mentalmente protesto non
contro ma con le Ferrovie dello Stato che mi
distraggono con il loro benvenuto sull'Eurocity a
supplemento. Tra me e me non faccio questione di
supplementi, rifletto sull'ambigua felicità di
viaggiare per l'Italia con il treno. Pare che il
treno sia tornato di moda, speriamo sia la volta
buona.
E ora basta con le divagazioni sui treni. Ieri
mattina, una volta a Roma e prima di andare all'EUR
a sentire il ministro, sono andato in via
Civitavecchia a trovare una mia vecchia maestra,
che è sempre bellissima, ha i capelli rosso
tiziano e le lentiggini come una fiamminga ma è
di Alessandria come Umberto Eco e ama Van Dyck.
Le ho portato le rose come si fa con le vecchie
maestre, vecchie nel senso che è vecchio l'alunno
che non studia più, loro erano giovani, sono
giovani e rimangono sempre giovani. Mentre
bussavo alla sua porta mi dicevo: Chissà se si
ricorda di me, e lei invece si ricordava
benissimo e ha avuto anche la faccia tosta di
dirmi: Non sei cambiato per niente dall'ultima
volta che ti ho visto. Io sono un suo alunno
somaro e ricorrente nel senso che lei è la
maestra Luciana, maestra di tutti i lusitanisti
italiani, anche di Antonio Tabucchi, e io sono un
suo alunno con il fiato grosso, un alunno da
centocinquanta ore, uno che non potrà mai
saperne quanto i suoi alunni veri.
La maestra Luciana ama Roma l'eterna, quella
laica dove il Tevere s'allarga, si interessa di
tutto, ha un MacIntosh gigante in camera da letto
che maneggia come una Mary Poppins, quando penso
alla scuola penso a lei ed è per questo che sono
andato a trovarla prima di andare a sentire il
signor ministro. Mi ha invitato a pranzo, e mi ha
detto: Hai tutto il tempo che vuoi, gnocchi,
bistecca e insalata, vino rosso e budino, e
abbiamo parlato di un quadro di Van Dyck che sta
a Vicenza con le tre età dell'Uomo, dove c'è
una donna bellissima e rosso tiziano come lei con
le rose in mano e con intorno tre figure maschili,
un bambino, un giovane e un anziano, e lei offre
le rose al giovane che è nella più bella età
della vita. E io le ho detto che forse quella
donna era lei, la maestra, e che gli altri erano
i suoi scolari, o forse lei, la maestra Luciana e
la rossa di Van Dyck sono la scuola ideale, e i
tre uomini sono le età della scuola materiale,
ma non della maestra Luciana, che è sempre
giovane come la donna di Van Dyck con le rose.
Forse hai ragione, mi ha detto lei versandomi un
po' del suo vino, e non te ne do tanto perché
devi andare a sentire il ministro. Lei ama il
mondo dai colori forti, i paesi latinoamericani
antropofagi dell'Europa ma anche l'Europa e i
ragazzi d'Europa, è in pensione ma ha sempre
alunni nuovi che ogni giorno la vengono a trovare
e la aiutano, e lei aiuta loro. Ho fatto un po'
tardi con la maestra Luciana. La saluto e lei
sulla porta mi raccomanda: Studia, studia, studia,
un'anafora che ho già sentito, a lei piacciono
le anafore, le ipallagi, gli ossimori e le rose.
Sono le tre e da via Civitavecchia mi precipito
in via dell'Astronomia e faccio a tempo a vedere
entrare in sala il signor ministro che arriva
come un messo della Provvidenza mentre un signor
preside sta discettando su De Amicis e i corsi
serali multimediali (conta la forma non il
contenuto). Lui, il ministro della Provvidenza
dei presidi, ne ha lasciato parlare un altro e
finalmente si è messo a parlare, e ha parlato a
braccio come tutti i ministri che si rispettano,
i presidi in platea erano tanti, lui è stato
rettore di una grande università statale e non
ha paura di parlare a braccio.
Ne ha dette tante e di tutti i colori il signor
ministro, di belle e brutte, di certe e di
incerte, di acute e di meno acute, come tutti i
ministri che parlano a braccio. Ha detto che i
licei sono importanti e che forse però segnano
il passo rispetto all'istruzione tecnica che va
forte, e che più forte si può e si deve. Poi ha
parlato del nuovo esame di Stato, e poi anche lui
delle età della scuola, del longlife learning,
della scuola di tutta la vita, dall'infanzia alla
vecchiaia, dal nido al viale del tramonto, un
momento, non è che ha detto così, sono parole
mie, ero io che pensavo al vinello della maestra
Luciana e sognavo la ragazza di Van Dyck con i
capelli rossi, le efelidi e le rose, e mi sono
scosso quando il ministro, a un certo punto e
sempre parlando a braccio, si è messo a parlare
di lei strapazzandola un po', ma non della
maestra Luciana, o della ragazza di Van Dyck, ma
di una certa preside di non so quale scuola, e
per questo mi sono scosso, di un liceo o un
istituto, che aveva detto o scritto da qualche
parte che questo anno di obbligo in più senza la
riforma dei contenuti è peggio che niente. Non
è vero, ha detto il signor ministro, un anno di
obbligo in più è meglio che niente, e io mi
sono rimesso a pensare alla maestra Luciana e al
fatto che tutti noi abbiamo una maestra nel cuore,
anche i signori ministri, ma che quando si tratta
di professoresse e di presidi allora vedono tutti
rosso, anche Umberto Eco che è di Alessandria
come la maestra Luciana e prende in giro le
professoresse di matematica che hanno quasi tutte
due cognomi, e ora anche il signor ministro se la
prende con una preside che non c'è, e dire che
di presidi donne ce n'erano in sala, ma non era
quello il momento di litigare sul nuovo obbligo e
la nuova autonomia, ci mancava solo che venisse
fuori il discorso sui soldi alla scuola privata,
e a quale scuola, di quale età, alla scuola dei
piccoli, a quella dei giovani o a quella dei meno
giovani? Sì, meno giovani, perché gli alunni
che continuano a studiare non diventano vecchi,
diventano solo meno giovani.
Alla fine abbiamo tutti applaudito il signor
ministro e il direttore generale che va presto in
pensione, se lo meritavano tutti e due, ma il
signor ministro aveva l'applausometro in tasca e
s'è accorto, parole sue, che ne ha avuti di più
il direttore generale. Scherzava, naturalmente,
il signor ministro non va in pensione e quindi ne
ha avuti di meno, in fondo non è un cattivo
ministro, è che a volte parla a braccio e si
perde.
E siamo già a Firenze con il Michelangelo, e mi
rigiro tra le mani gli appunti e mi dico che devo
chiuderli in galleria tra Firenze la colta e
Bologna la dotta e mangiona, e devo metterli a
posto in fretta perché poi c'è quell'altra
galleria di Domegliara, una galleria da niente ma
ogni volta che entro lì dentro, servizio o non
servizio, mi esce di mente quello che ho pensato
tra Roma l'eterna e Verona l'amorosa, anche
perché le luci nel treno restano spente e quando
arrivo a Trento l'autonoma e la severa mi sono
già scordato tutto. Dev'essere un buio
premonitorio, junghiano, personale e materiale,
come si dice in gergo ferroviario. Un buio che
corre da un'età all'altra dell'Uomo, e forse
anche da un'età all'altra della Scuola.
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Antoon Van Dyck. «Le tre età dell'uomo»
1625 circa. Tela, 120 X 165 cm.
Vicenza, Museo civico d'arte e storia.
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