LE LETTERE  
martedì 26 gennaio 1999, SS. Timoteo e Tito  
   
Van Dyck, il ministro e le tre età della scuola
LUCI DI POSIZIONE

Alessandro Dell'Aira

Ora che è giorno e che per l'ennesima volta mi sono svegliato, sono a Roma sul Michelangelo che sta per partire però mentalmente protesto non contro ma con le Ferrovie dello Stato che mi distraggono con il loro benvenuto sull'Eurocity a supplemento. Tra me e me non faccio questione di supplementi, rifletto sull'ambigua felicità di viaggiare per l'Italia con il treno. Pare che il treno sia tornato di moda, speriamo sia la volta buona.
E ora basta con le divagazioni sui treni. Ieri mattina, una volta a Roma e prima di andare all'EUR a sentire il ministro, sono andato in via Civitavecchia a trovare una mia vecchia maestra, che è sempre bellissima, ha i capelli rosso tiziano e le lentiggini come una fiamminga ma è di Alessandria come Umberto Eco e ama Van Dyck. Le ho portato le rose come si fa con le vecchie maestre, vecchie nel senso che è vecchio l'alunno che non studia più, loro erano giovani, sono giovani e rimangono sempre giovani. Mentre bussavo alla sua porta mi dicevo: Chissà se si ricorda di me, e lei invece si ricordava benissimo e ha avuto anche la faccia tosta di dirmi: Non sei cambiato per niente dall'ultima volta che ti ho visto. Io sono un suo alunno somaro e ricorrente nel senso che lei è la maestra Luciana, maestra di tutti i lusitanisti italiani, anche di Antonio Tabucchi, e io sono un suo alunno con il fiato grosso, un alunno da centocinquanta ore, uno che non potrà mai saperne quanto i suoi alunni veri.
La maestra Luciana ama Roma l'eterna, quella laica dove il Tevere s'allarga, si interessa di tutto, ha un MacIntosh gigante in camera da letto che maneggia come una Mary Poppins, quando penso alla scuola penso a lei ed è per questo che sono andato a trovarla prima di andare a sentire il signor ministro. Mi ha invitato a pranzo, e mi ha detto: Hai tutto il tempo che vuoi, gnocchi, bistecca e insalata, vino rosso e budino, e abbiamo parlato di un quadro di Van Dyck che sta a Vicenza con le tre età dell'Uomo, dove c'è una donna bellissima e rosso tiziano come lei con le rose in mano e con intorno tre figure maschili, un bambino, un giovane e un anziano, e lei offre le rose al giovane che è nella più bella età della vita. E io le ho detto che forse quella donna era lei, la maestra, e che gli altri erano i suoi scolari, o forse lei, la maestra Luciana e la rossa di Van Dyck sono la scuola ideale, e i tre uomini sono le età della scuola materiale, ma non della maestra Luciana, che è sempre giovane come la donna di Van Dyck con le rose. Forse hai ragione, mi ha detto lei versandomi un po' del suo vino, e non te ne do tanto perché devi andare a sentire il ministro. Lei ama il mondo dai colori forti, i paesi latinoamericani antropofagi dell'Europa ma anche l'Europa e i ragazzi d'Europa, è in pensione ma ha sempre alunni nuovi che ogni giorno la vengono a trovare e la aiutano, e lei aiuta loro. Ho fatto un po' tardi con la maestra Luciana. La saluto e lei sulla porta mi raccomanda: Studia, studia, studia, un'anafora che ho già sentito, a lei piacciono le anafore, le ipallagi, gli ossimori e le rose. Sono le tre e da via Civitavecchia mi precipito in via dell'Astronomia e faccio a tempo a vedere entrare in sala il signor ministro che arriva come un messo della Provvidenza mentre un signor preside sta discettando su De Amicis e i corsi serali multimediali (conta la forma non il contenuto). Lui, il ministro della Provvidenza dei presidi, ne ha lasciato parlare un altro e finalmente si è messo a parlare, e ha parlato a braccio come tutti i ministri che si rispettano, i presidi in platea erano tanti, lui è stato rettore di una grande università statale e non ha paura di parlare a braccio.

Ne ha dette tante e di tutti i colori il signor ministro, di belle e brutte, di certe e di incerte, di acute e di meno acute, come tutti i ministri che parlano a braccio. Ha detto che i licei sono importanti e che forse però segnano il passo rispetto all'istruzione tecnica che va forte, e che più forte si può e si deve. Poi ha parlato del nuovo esame di Stato, e poi anche lui delle età della scuola, del longlife learning, della scuola di tutta la vita, dall'infanzia alla vecchiaia, dal nido al viale del tramonto, un momento, non è che ha detto così, sono parole mie, ero io che pensavo al vinello della maestra Luciana e sognavo la ragazza di Van Dyck con i capelli rossi, le efelidi e le rose, e mi sono scosso quando il ministro, a un certo punto e sempre parlando a braccio, si è messo a parlare di lei strapazzandola un po', ma non della maestra Luciana, o della ragazza di Van Dyck, ma di una certa preside di non so quale scuola, e per questo mi sono scosso, di un liceo o un istituto, che aveva detto o scritto da qualche parte che questo anno di obbligo in più senza la riforma dei contenuti è peggio che niente. Non è vero, ha detto il signor ministro, un anno di obbligo in più è meglio che niente, e io mi sono rimesso a pensare alla maestra Luciana e al fatto che tutti noi abbiamo una maestra nel cuore, anche i signori ministri, ma che quando si tratta di professoresse e di presidi allora vedono tutti rosso, anche Umberto Eco che è di Alessandria come la maestra Luciana e prende in giro le professoresse di matematica che hanno quasi tutte due cognomi, e ora anche il signor ministro se la prende con una preside che non c'è, e dire che di presidi donne ce n'erano in sala, ma non era quello il momento di litigare sul nuovo obbligo e la nuova autonomia, ci mancava solo che venisse fuori il discorso sui soldi alla scuola privata, e a quale scuola, di quale età, alla scuola dei piccoli, a quella dei giovani o a quella dei meno giovani? Sì, meno giovani, perché gli alunni che continuano a studiare non diventano vecchi, diventano solo meno giovani.
Alla fine abbiamo tutti applaudito il signor ministro e il direttore generale che va presto in pensione, se lo meritavano tutti e due, ma il signor ministro aveva l'applausometro in tasca e s'è accorto, parole sue, che ne ha avuti di più il direttore generale. Scherzava, naturalmente, il signor ministro non va in pensione e quindi ne ha avuti di meno, in fondo non è un cattivo ministro, è che a volte parla a braccio e si perde.
E siamo già a Firenze con il Michelangelo, e mi rigiro tra le mani gli appunti e mi dico che devo chiuderli in galleria tra Firenze la colta e Bologna la dotta e mangiona, e devo metterli a posto in fretta perché poi c'è quell'altra galleria di Domegliara, una galleria da niente ma ogni volta che entro lì dentro, servizio o non servizio, mi esce di mente quello che ho pensato tra Roma l'eterna e Verona l'amorosa, anche perché le luci nel treno restano spente e quando arrivo a Trento l'autonoma e la severa mi sono già scordato tutto. Dev'essere un buio premonitorio, junghiano, personale e materiale, come si dice in gergo ferroviario. Un buio che corre da un'età all'altra dell'Uomo, e forse anche da un'età all'altra della Scuola.




Antoon Van Dyck. «Le tre età dell'uomo»
1625 circa. Tela, 120 X 165 cm.
Vicenza, Museo civico d'arte e storia.

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