LA PENNA è più forte della casta.
        Così scrive Federico Guiglia in "Ho toccato
        lItalia col piede destro", autobiografia di
        uno che ha sempre creduto nei suoi sogni. Che
        sognino anche i giornalisti, non ci piove. Le cose si
        complicano se chi impugna la penna appartiene a una
        casta. La penna di casta castiga a sangue la penna senza
        padrone. Ma non sempre la doma.
        
        La penna di Guiglia non è di casta. Schierato a destra,
        impudente da giovane col suo farsi largo nelle redazioni
        dei grandi quotidiani, anima di Radiotelenord a Merano
        per circa dieci anni, entrato nelle grazie di Montanelli
        e assunto al Giornale, ha sempre cercato
        spazi propri.
        
        È uno che si preoccupa di indagare con metodo sui
        meccanismi di promozione della lingua italiana nel mondo.
        Un interesse analogo lo coltiva José Saramago, uomo di
        sinistra, che si fece le ossa in tempi duri come
        direttore del più grande quotidiano di Lisbona. 
        
        Giovedì scorso, invitato dalla Dante Alighieri di
        Trento, Guiglia ha presentato il suo libro, introdotto da
        Mario Caparelli e con la voce recitante di Alfonso Masi
        sotto gli affreschi della Sala Sosat di via Malpaga. In
        quarta di copertina una frase allude a quando, prima di
        lasciare illegalmente lUruguay dove è nato mezzo
        secolo fa, Federico rivendeva a Punta del Este le
        bottiglie che scovava tra la sabbia, scorie dei
        vacanzieri che infestavano le due spiagge, di mare e di
        fiume, della penisoletta alla foce del Rio de la Plata. 
        
        «Cerano tante Italie in quellangolo di mare
        e del mio cuore, e tutte legate dallumiltà, che è
        la virtù più preziosa per un americano del profondo
        Sud, cioè per un americano che non ha trovato
        lAmerica». Preso per mano da suo padre, col
        fratellino piû piccolo, a tredici anni Federico lasciò
        Montevideo grazie a una firma falsa sul passaporto del
        genitore, mantovano di nascita e meranese di adozione,
        che così sottrasse i figli alla moglie uruguaiana nei
        giorni in cui erano affidati a lui. Federico sapeva. Il
        fratellino, pressoché ignaro di tutto, si chiese in
        spagnolo dovera il suo lettino. Era il 73, in
        Italia lesercizio della patria potestà era
        attribuito solo al padre.
        
        «Scendi dallaereo col piede destro, ti porterà
        fortuna», si sentì dire Federico a Malpensa. Avrebbe
        rivisto la madre nel 78, quando venne a trovare i
        figli col nuovo marito.
        
        Il padre, ex repubblichino, iscrisse il figlio al liceo
        classico Carducci di Merano. Trovò lavoro nel
        supermercato di una cooperativa rossa di Lagundo. A
        Montevideo, da impiegato di banca, aveva collaborato a
        una radio italiana. Così nel 77 aprì una radio
        libera in città. I primi affitti li pagò Federico coi
        risparmi di un soggiorno di studio e lavoro a Londra.
        Quando si trasferì a Milano per studiare giornalismo con
        due esami pendenti di filosofia a Padova, Radiotelenord
        fu venduta. Il primo aprile dell86 fu assunto
        da Montanelli. Lasciò la casa meneghina con la sua
        Daniela, meranese, ed entrò nella capitale dalla Salaria
        su un furgone noleggiato, i regali di nozze ancora
        impacchettati, rivivendo lantinomia padre madre,
        Italia Uruguay, università giornalismo, Roma Milano,
        italiano spagnolo. Ecco perché Federico ama anche i
        ponti e non solo gli aeroporti. 
        
        A tu per tu con la casta, capisce anzitutto
        due cose. La prima: è raro che i migliori italiani
        facciano politica. La seconda: laccademia
        dellantipolitica è più facile della politica
        militante. E poi: che le lobbies attraversano partiti e
        correnti, che i legislatori spesso non si documentano,
        che in parlamento non ci sono sogni alla Luther King.
        
        Montanelli raccomandava a Guiglia: devi far parlare i
        fatti. Forse per questo lui oggi si interessa
        prevalentemente di lingua italiana. E fa parlare i fatti
        in ottimo stile. A Roma o a Milano, in Italia o in giro
        per il mondo, accanto a Lilli Gruber su La 7 in
        Otto e mezzo. E ora, stessa rete, in
        Prossima fermata, il suo programma serale di
        interviste. Condotto in grande stile e indipendentemente
        dal piede con cui, di mattina sul tardi, sia sceso dal
        letto o dallaereo.