Il “Bagno della Regina” all’Acquasanta (Palermo)




LA GROTTA DEL BAGNO DELLA REGINA, con quella dell’Acquasanta, fa parte di un complesso di antichi antri termali che comprendeva la cosiddetta “peschiera” e gli elementi architettonici inclusi nella settecentesca Villa Lanterna. Dall’area circostante proviene la più antica raffigurazione del Genio di Palermo.



E TRACCE DI ETÀ PUNICA NELL'AREA CIRCOSTANTE   (1/2)



TESTO: Giovanni e Gianfranco Purpura

IMMAGINI: Giovanni Purpura


LE NUMEROSE e coerenti testimonianze puniche, ancora oggi riscontrabili da chi con occhio attento e interesse archeologico percorre la zona dell’Arenella, dell’Acquasanta e delle falde di Monte Pellegrino - ormai ad alta intensità urbana e più volte studiate (fig. 1) - se da un lato destano stupore ed emozione, dall’altro impongono cautela e rigore, tanto più che gli esiti dell’indagine si riflettono sulla questione controversa del rapporto tra l’insediamento punico di Palermo, del quale si sa ben poco, e il Monte Pellegrino. Il sito può essere identificato con la fortezza ubicata dalle fonti sul monte Eirkte e con l’accampamento di Amilcare Barca al tempo della prima guerra punica. Così ci tramanda Polibio, che attinge probabilmente dallo storico Filino di Agrigento, al seguito dell’esercito cartaginese.1 La sopravvivenza di dati storici e archeologici eterogenei, in un contesto assai alterato e ormai inglobato nel tessuto urbano, ha composto pian piano un quadro che ci è apparso unitario in base ad alcune evidenze significative. Ci limitiamo a presentare i dati, lasciando ad altri l’esegesi e lo studio approfondito.

Gli elementi archeologici, relativi a uno stabilimento antico di acque minerali ancora oggi copiose,
2 consentono di proporre un’ipotesi che lentamente ha preso consistenza, rafforzandosi con l’acquisizione di indizi più sicuri, pur nella esiguità dei dati superstiti individuati. L’esigenza di tutelare un luogo ritenuto fin da tempi remoti segnato dalla presenza della divinità, che si manifestava in tutta la sua potenza salvifica, ci induce a vincere ogni esitazione e a presentare, pur con dati assai ridotti, un’ipotesi che appare coerente ma che avrebbe bisogno di ulteriori e ben più ampi riscontri (fig. 2).

(fig. 1) (fig. 2) (fig. 3) (fig. 4) (fig. 5)

Il “Bagno della Regina” all’Acquasanta consiste in un ambiente con una vasca artificiale, già preso in esame dagli studiosi e ritenuto molto suggestivo (fig. 3).3 La presenza di alcuni particolari induce oggi a superare le perplessità sulla sua funzione. Si tratta di una grotta marina il cui soffitto trasuda ancora di abbondante acqua minerale,4 che ha lasciato tracce plurimillennarie (fig. 4). Vi si accede attraverso una scaletta e un sentiero intagliati con tecnica antica5 nell’alta costa rocciosa, seguendo un percorso scavato nel calcare (fig. 5) che giunge in un vasto antro invaso dal mare fino ad un ampio sedile, affiancato ad un seggio di dimensioni più ridotte (fig. 6). Poco prima il sentiero si divide in due rami, a destra segue l’andamento della costa sviluppandosi in una breve diramazione con gradini che conduce ad un secondo sedile (fig. 7), rivolto verso una conca oggi invasa dal mare, prima di proseguire verso altre cavità con acqua termale che si aprono sul fronte marino sino all’Arenella. Qui si riscontra una grotta con fronte colonnato (fig. 8), già segnalata come probabile ninfeo antico (fig. 9).6 Oggi il percorso originario si interrompe bruscamente per l’erosione del tratto di costa particolarmente esposto alla violenza dei marosi, denotando in tal modo l’antichità del sentiero intagliato accuratamente nella roccia. Il suo sviluppo si spiegherebbe solo se conducesse ad altre cavità costiere (fig. 10).

(fig. 6) (fig. 7) (fig. 8) (fig. 9) (fig. 10)

Brevi tratti del sentiero scavati dall’uomo persistono infatti in anfratti rimasti oggi del tutto privi di accesso da terra (fig. 11). A sinistra rispetto all’ampio sedile dell’ingresso del “Bagno della Regina”, il percorso si volge, attraverso alcuni gradini scavati nel calcare alla base di un imponente deposito carbonatico di sali candidi depositati dal deflusso termale (fig. 12), verso una vasca ovale con sedile sommerso dall’attuale livello del mare (fig. 13), che penetra attraverso alcune fessurazioni non originarie.

I pochi studiosi che hanno esaminato la struttura, pur riconoscendo la grande suggestione e la sacralità del luogo ed ammettendone il possibile impiego come bacino lustrale, in mancanza di indizi che ne denotino l’antichità, non hanno comunque escluso che la vasca “possa aver avuto scopi pratici, forse a carattere balneare, e che la sua esecuzione sia quindi avvenuta in età abbastanza recente”.
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Alcuni significativi indizi sono stati, a nostro avviso, trascurati: la vasca era originariamente alimentata solo da acqua termale, che sgorgando dalla parete rocciosa a monte, attraverso un condotto rettilineo sottostante i gradini, defluiva in essa (fig. 14). Lo dimostra il suggestivo deposito carbonatico bianco a balze discendenti, oggi parzialmente danneggiato al punto da consentire l’accesso - un tempo precluso - ad un’altra cavità adiacente. Il condotto sotterraneo a sezione quadrangolare, che inizia alla sommità dei gradini per convogliare l’acqua nella vasca, consentiva evidentemente di scendere all’asciutto nel Bagno, colmo d’acqua minerale e non marina, il cui livello era mantenuto costante da un foro di deflusso praticato ad idonea altezza nei pressi del sedile. Si tratta di un accorgimento assolutamente incompatibile con un uso balneare e non terapeutico e con una realizzazione in età abbastanza recente.
Inoltre, in un angolo della parete interna della vasca, nell’estremità superiore, è ricavata una piccola nicchia
(fig. 15), che costituisce un sicuro piano d’appoggio per il deposito di un lume. Oggi l’ambiente non necessita d’illuminazione poiché un ampio squarcio della parete rocciosa consente alla luce di penetrare all’interno dell’antro. E dunque, se non si vuole ipotizzare un improbabile uso balneare notturno rischiarato da una lucerna, occorre necessariamente ammettere che il Bagno fosse utilizzato prima del crollo - sicuramente in antico - della parete rocciosa, quando la luce nell’ambiente appariva assai più tenue.

(fig. 11) (fig. 12) (fig. 13) (fig. 14) (fig. 15)

Le tre nuove evidenze, il lungo sentiero costiero intagliato con tecnica antica ed oggi interrotto, il canale d’adduzione dell’acqua minerale con foro di deflusso e la nicchia per lucerna nel “Bagno della Regina”, consentono a nostro avviso di escludere l’uso balneare e la realizzazione in età recente, ed inducono invece ad ammettere l’impiego terapeutico in età antica. Troverebbe così una plausibile spiegazione il doppio sedile tutt’oggi visibile appena varcato l’ingresso dell’antro: il più ampio per i visitatori in attesa, il singolo per chi controllava l’accesso alla vasca.

La denominazione popolare del Bagno, ascritto a una Regina
8 come la ben nota Grotta di Capo Gallo ricca di iscrizioni e simboli punici9 che attestano il culto di Shadrapha e Iside, è stata ritenuta allusiva ad un antico attributo divino, che potrebbe facilmente riconoscersi “nella speciale devozione locale per l’Immacolata” all’Acquasanta, costante nel tempo.10 La cavità appartiene allora ad un vasto ed unitario complesso d’antri termali a livello del mare, che dall’Acquasanta giungeva fino all’Arenella. La prima di tali grotte (fig. 16), quella dell’Acquasanta appunto, è sede di un culto assai antico.11 Scriveva il Villabianca:12 “Questa santa sorgiva d’acqua resta dentro una chiesetta ove venerasi la Regina del cielo e della terra” e Maja13 spiegava la denominazione dell’acqua come santa, “primo per dimorare sempre nella chiesa e poi per le sue ottime sperimentate qualità che produce miracoli concessi da Dio per sanare varie infermità”.

Non sembra sia stato notato che dall’altare settecentesco inglobato nel fondo dell’antro - proprio dal tabernacolo - si accede ad altre cavità, oggi interrate, dalle quali fluisce ancora dell’acqua sull’altare. Evidentemente l’interramento ha precluso l’accesso ad una serie di antichi ipogei, che si sviluppavano a differenti altezze rispetto al livello del mare. Un altro particolare significativo dell’originaria struttura sembra essere quello relativo all’antica esistenza di un bacino di raccolta dell’acqua - la cosiddetta “peschiera” - fluente dalla grotta all’esterno dell’antro, nell’antistante approdo. Quest’ultimo risulta ancora oggi separato, nonostante innumerevoli ed anche recenti alterazioni, in due zone nettamente distinte: una esterna, più ampia, costituita dallo spazio portuale, l’altra, più piccola ed esattamente delimitata, costituita dalla vasca di raccolta dell’acqua termale in questione (fig. 17).14 Quale spiegazione si potrebbe altrimenti fornire della persistenza di tale netta demarcazione tra il bacino portuale e l’antica piscina ancora individuabile nel suo fondo interno nella parte interna del porto, proprio dinnanzi alla grotta termale?

(fig. 16) (fig. 17) (fig. 18) (fig. 19) (fig. 20)

La piccola chiesa della Madonna dell’Acquasanta, che già nel 1400 sorgeva in riva al mare e ove, secondo il Villabianca,15 era stata ritrovata e venerata nell’anno 1022 una sacra immagine epigraficamente commemorata nel 1647, venne lasciata in eredità da donna Luisa Calvello, il 7 febbraio 1400, ai Frati Benedettini di San Martino delle Scale;16 passò successivamente al barone Mariano Lanterna, che all’incirca nel 1774, quando ancora l’interesse per le antichità egizie era assai limitato, eresse a pochi metri di distanza dalla grotta una piccola e deliziosa casina17 - decorata con motivi rocaille in stucco e insolitamente non orientata verso il mare (fig. 18) - che ingloba su di un’ala laterale un portale murato con due colonne in fine arenaria tagliate in sezione e stuccate, al momento di difficile interpretazione (fig. 19). Grandi blocchi ed elementi architettonici di fine arenaria, reimpiegati provenienti da un’unica, imponente struttura, sono evidenti nelle due ali del recinto antistante la villetta (fig. 20).



 
 
 

NOTE

1 Polibio I, 56. I dubbi in merito all’identificazione dell’Eirkte con il Monte Pellegrino, sollevati nel 1912 da Kromayer e Veihweg in seguito ad una non accurata ricognizione (Antike Schlachtfelder, III, 1, Italien, Berlin, 1912, pp. 4-24) e ripresi, inizialmente almeno, da Giustolisi nel 1975 (Le navi romane di Terrasini e l’avventura di Amilcare sul monte Heirkte, Palermo, 1975, pp. 47 ss.), nonostante i riscontri forniti nel 1917 da A. De Gregorio (Resti del campo punico nei pressi di Palermo del III sec. a.C. con un’appendice Su una stela fenicia ed una iscrizione su Monte Pellegrino, Studi Archeologici Iconografici, Palermo, fasc. IV, 1917, pp. 3-11) e, successivamente, da M. Bonanno (Punici e Greci sul Monte Pellegrino, Sicilia Archeologica, IV, 1973, 21-22, pp. 55-62), sono stati riconosciuti dal medesimo Giustolisi [La Montagna sacra, Palermo, 1977, pp. 8 ss; Id., Topografia, Storia ed Archeologia di Monte Pellegrino (Palermo), Palermo, 1979, pp. 5 ss.], come del tutto ingiustificati, ma Pottino (I Cartaginesi in Sicilia, Palermo, 1976, pp. 24 ss.; Id., Rapporto su Eircte, Palermo, 1987; Id., Arias, Un problema di topografia storica alle porte di Panormos antica, MEFRA, 103, 1991, 2, pp. 377-404), scambiando per strutture militari apprestamenti agricoli forse islamici del Monte Pecoraro, ha continuato ad alimentarli, giungendo ad un serrato confronto (Due voci a confronto, Sicilia Archeologica, 62, 1986, pp. 55-65) con Mannino (Le grotte di Monte Pellegrino, Palermo, 1985, pp. 17 ss.), profondo conoscitore del monte, che ne ha ribadito l’assoluta mancanza di fondamento. Chi ha percorso la montagna in lungo ed in largo con intenti archeologici e competenza ne acquisisce facilmente la certezza, verificando il capillare controllo a valle ed a monte di tutti gli accessi con postazioni militari puniche della metà del III sec. a.C. e soprattutto l’esistenza di vedette marine, strategicamente dislocate in punti desolati ed inaccessibili, ma con ampia vista sul mare o la pianura circostante. Purtroppo l’unico sondaggio archeologico sul monte (Di Stefano, Garofano, Gandolfo, Ricerche archeologiche sul Monte Pellegrino, Archeologia e Territorio, Palermo, 1997, pp. 3-24) è stato effettuato proprio in uno dei pochi siti non idonei per la soluzione del problema e non ha dunque restituito elementi decisivi per chiarire la questione.
2 Se Mercadante, Da Balarm, Palermo a Giazîrah, Isola. Il porto di Gallo ritrovato, Palermo, 2001, p. 122, dichiara che da un “sopralluogo, non si rinvengono indicazioni visive di qualche fonte” nella grotta dell’Acquasanta, ciò è forse dovuto alla sopravvenuta diminuzione stagionale della portata in tale ambiente dell’acqua minerale, che nelle immediate adiacenze e per tutta la costa continua a fluire copiosa in quasi ogni periodo dell’anno.
3 La Duca, La sorgente dell’Acquasanta, La città perduta, III, Palermo, 1977, pp. 16-18; Giustolisi, La Montagna Sacra, cit., p. 73 e fig. 78; Id., Topografia, storia ed archeologia di Monte Pellegrino, cit., p. 51 nt. 93.
4 Le acque minerali della sorgente Acquasanta, che sgorgano nelle grotte marine della zona sono state considerate paragonabili a quelle Paragonabile a quella della sorgente Tamerici a di Montecatini Terme. La Duca, Ancora sulla sorgente dell’Acquasanta, La città perduta, III, Palermo, 1977, pp. 23-25.
5 Si notano incavi per l’inserimento di cunei per il distacco della pietra, simili a quelli della cava del cosiddetto tempio megalitico della Rocca di Cefalù, struttura ascrivibile al V-IV sec. a.C. Cfr. Purpura, Le cave di pietra della Rocca di Cefalù, Sicilia Archeologica, XI, 37, agosto 1978. pp. 59-67.
6 Purpura, Palermo e il mare. Testimonianze archeologiche e rinvenimenti sottomarini, Storia di Palermo, a cura di Rosario La Duca, I, Palermo, 1999, pp. 240-243.
7 Giustolisi, La Montagna Sacra, cit., p. 73.
8 Altri casi a Castellammare del Golfo - ambiente oggi sepolto in occasione del restauro del castello - a Siracusa o a Brancaccio, antro assegnato alla regina Costanza (La Duca, La grotta della Regina Costanza, La città perduta, III, Palermo, 1977, pp. 147-149), ma che Mongitore, Della Sicilia ricercata, Palermo, 1742-3 (rist. 1977), p. 265, genericamente assegnava ad una Regina.
9 Guzzo Amadasi, Grotta Regina, II, Le iscrizioni puniche, Roma, 1979, pp. 93 ss.
10 All’antichissimo culto della Madonna all’Acquasanta si riferisce Giustolisi, Topografia, storia ed archeologia di Monte Pellegrino, cit., p. 51 nt. 93; Id., La montagna sacra, cit., pp. 66 ss.; Id., Culti pagani e cristiani nel Santuario di S. Rosalia nel Monte Pellegrino (Palermo), Palermo, 1978. Nelle mappe ottocentesche è segnalata la presenza nei pressi dell’Ospizio Marino di una “casina reale” borbonica. L’attribuzione ad una regina della grotta ha trovato così facile, ma poco credibile giustificazione. Sulla “casina reale” all’Acquasanta cfr. La Duca, Una veduta ottocentesca dell’Acquasanta nella Sala degli Uccelli, in: Il Palazzo dei Normanni, Palermo, 1997, pp. 35-40.
11 Mongitore, Della Sicilia ricercata, cit., p. 236.
12 Villabianca, La fontanagrafia oretta, a cura di S. Di Matteo, Palermo, 1986, p. 32 e s.
13 Maja, Isola di Sicilia passeggiata, a cura di S. Di Matteo, Palermo, 1985, p. 175 e s.
14 Cfr. La Duca, Ancora sulla sorgente dell’Acquasanta, cit., p. 24.
15 Villabianca, La fontanagrafia, cit, p. 33.
16 Basile, Palermo felicissima, Palermo, 1929 (rist. 1978), p. 79. La data del 1451 è invece indicata da Mercadante, op. cit., p. 137, ma a p. 109 riferisce parte del testamento al 1400.
17 La Duca, Una veduta ottocentesca dell’Acquasanta, cit., p. 36; Requirez, Le ville di Palermo, cit., p. 36. Non è esatta la data del 1798, indicata in De Seta et alii, Palermo città d’arte, Palermo, 1998, n. 506 “Villa Lanterna”, p. 337. Cfr. Lo Piccolo, In rure sacra. Le chiese rurali nell’agro palermitano dall’indagine di Antonino Mongitore ai giorni nostri, Palermo, Accademia Nazionale di Scienze Lettere e Arti, 1995, p. 100.



 
 
Giovanni e Gianfranco Purpura, Il Bagno della Regina all'Acquasanta (Palermo)