(continua)
QUALCHE PIETRA, con antiche grappe
plumbee, sembra essere addirittura
nell’originaria posizione di
giacitura. Si tratta di elementi
architettonici assolutamente anomali
nell’architettura del ‘700 e
mai segnalati. Si riconoscono stipiti,
cornici, piedritti, un capitello con
triplice solcatura (fig.
21); strutture
evidentemente già esistenti sopra la
grotta dell’Acquasanta nel momento
della costruzione di Villa Lanterna. La
suggestione che emana da un complesso
siffatto evoca pratiche antiche del culto
delle acque.
Ad Amrith (fig. 22),
a Sidone,18
ad Antas in Sardegna, sono stati
individuati santuari fenicio-punici,
collegati all’acqua - con bagni
lustrali e piscine dinnanzi a sorgenti,19
come
quella dell’Acquasanta - nei quali
si riscontrano elementi architettonici
assai imponenti e in qualche caso
soggetti ad una costante riutilizzazione
in età successive alla fenicio-punica.
E’ recente la notizia del
rinvenimento in Sicilia, a Mozia, a breve
distanza dal cothon, di un santuario
punico, che ha indotto a modificare la
tradizionale interpretazione del bacino
come porticciolo ed a supporre
l’esistenza di un collegamento della
piscina alla celebrazione di riti sacri.
Accanto alla “peschiera”
dell’Acquasanta, nei pressi dello
stabilimento idroterapeutico Pandolfo,
che nel 1871 aveva tentato di valorizzare
l’efficacia dell’acqua della
zona, appaiono a tratti grandi blocchi
regolari, come muro di contenimento della
scarpata del rilievo, simili a quelli
della cinta muraria antica di Palermo,
rintracciata sotto il convento di S.
Chiara, nei pressi della Martorana o a
Palazzo Reale.20
La chiesa della Madonna
dell’Acquasanta era dotata di
quattro altari ed il luogo cultuale
originariamente constava di più antri,
almeno due di fronte allo stabilimento
Pandolfo, altri tre in riva al mare.
Proseguendo poi lungo la costa, proprio
sotto il cosiddetto tempietto di Villa
Igiea - controversa e rimaneggiata
struttura ritenuta da qualche studioso
ellenistica21
- si riscontra un’altra grotta
marina (fig. 23)
con acqua termale che sembra sia stata
danneggiata dalla mareggiata che negli
anni ’70, infrangendosi su tale
tratto di costa, distrusse la diga
foranea del porto di Palermo. Dopo la
grotta delle Giarraffe, si perviene alla
cavità del Bagno della Regina e ad un
successivo riparo più elevato rispetto
al livello del mare, al centro
dell’area occupata dall’Ospizio
Marino. Si giunge infine alla grotta
dell’Arenella, oggi utilizzata dalla
Lega Navale. La cavità, oggetto della
nostra attenzione e di una tempestiva
segnalazione22 (fig.
24), presenta un
fronte colonnato che è stato alterato,
successivamente alla pubblicazione, da
attività che ne hanno modificato
l’aspetto originario, asportando
meccanicamente la patina antica e
ribassando il piano interno di calpestio.
Inoltre è stato abbattuto il muro che
inglobava le colonne ed aggiunto un
archetto nell’architrave roccioso (fig.
25). Così, però si
è resa visibile una riparazione
sicuramente antica di un rocco di una
colonna, altrimenti non evidente.
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(fig. 21) |
(fig. 22) |
(fig. 23) |
(fig. 24) |
(fig. 25) |
Non sembra che il vicino
magazzino, un tempo ricovero delle barche
della tonnara dell’Arenella ed
artificialmente intagliato nella roccia,
abbia fatto parte dell’originario
complesso naturale di grotte termali,
nonostante siano stati segnalati
all’interno dell’escavazione
frammenti ceramici antichi.23
La terapeuticità dell’acqua,
fluente dal complesso degli antri
determinò l’attribuzione alla ninfa
della salute Igiea del sanatorio, che i
Florio, residenti nei pressi,
progettarono di realizzare intorno al
1899, in seguito all’acquisto del
villino Downville.24
Presto convertirono la struttura in
lussuosa residenza, ove nacque una figlia
di Vincenzo Florio che ne ebbe il nome.25
Il villino Downville, sorto da un
ampliamento del Casino Pignatelli (fig.
26), presenta in una
foto del 1870 circa una colonna in stile
dorico dal lato del magazzino. Esso fu a
sua volta incluso nel recinto ad
occidente della nuova Villa ed è
ubicabile nel giardino di Villa Igiea con
la facciata volta verso l’insenatura
dell’Acquasanta.
E’ opportuno ricordare che proprio
al culto della ninfa Hygieia o di Atena
Hygieia sono state attribuite alcune
arulette con motivi vegetali rinvenute
nei dintorni di Palermo26
e che di recente l’attenzione degli
studiosi si è rivolta a grotte –
santuario fenicio-puniche connesse alla
navigazione,27
sottolineando talvolta l’incertezza
dei contesti, l’accentuato stato di
distruzione, la difficoltà di esatte
datazioni, la rarità in genere di
reperti e strutture ancor oggi leggibili,
ma anche l’indubitabile
sopravvivenza di alcuni siti veramente
notevoli: oltre alla già ricordata
Grotta Regina a Capo Gallo, Ras
Il-Wardija, complesso sacro collegato
all’acqua con canali e cisterne in
una delle zone più aride dell’isola
di Gozo; la Grotta del Papa
nell’isola di Tavolara presso Olbia,
in Sardegna, accessibile solo dal mare e
con un piccolo lago di acqua dolce
all’interno; la Cueva d’Es
Cuieram ad Ibiza, nelle Baleari, in
posizione panoramica a distanza dal mare
con “bagni o piscine”; il
complesso Gorham’s a Gibilterra che
si presenta, come all’Acquasanta,
con una serie di grotte a schiera a
livello del mare utilizzate per scopi
cultuali dal VII al II sec. a.C. (fig.
27); ed infine una
grotta recentemente rinvenuta a Marettimo
con polle d’acqua ed abbondante
ceramica punica.
Sembra che tali complessi archeologici
possano essere considerati come relativi
ad “un nuovo tipo di santuario, il
tempio costiero, principalmente
extraurbano, ove si effettuavano pratiche
volte all’uso dell’acqua come
elemento di culto” e terapeutico, a
“riti oracolari connessi alle
navigazioni ed alla prostituzione
sacra”.28
Nel caso dell’Acquasanta, il degrado
ambientale sempre più accentuato per la
vicinanza della città e l’oggettiva
impossibilità per noi di verifiche e
d’ulteriori indagini hanno indotto a
proporre quella che, allo stato attuale,
appare solo come una mera ipotesi: che
cioè sulla costa, dall’Acquasanta
all’Arenella, potesse sussistere un
complesso di grotte con acqua minerale,
utilizzata per scopi di cura fin
dall’età antica.
E’ nota la questione
relativa alla provenienza della stele
punica dell’Acquasanta (fig.
28) che ha indotto
addirittura ad ipotizzare la presenza di
un tophet nella zona,29
sebbene l’opinione prevalente oggi
tenda a considerare la pietra di origine
non locale, in base all’analisi
iconografica, in attesa di più sicure
conferme petrografiche.30
Anche in questo caso, non sono da
trascurare alcuni dati significativi.
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(fig. 26) |
(fig. 27) |
(fig. 28) |
(fig. 29) |
(fig. 30) |
Il primo editore del reperto, Giacomo De
Gregorio, nel 1902 dichiarava che la
stele era stata rinvenuta in un magazzino
agricolo del podere Downville tra pietre
e fossili;31
nel 1917 il fratello Antonio, noto
naturalista siciliano, ricordava invece
che era stata trovata in alcuni mobili
antichi acquistati da Downville, anche se
poi finiva per propendere per la natura
locale della pietra e dunque per la sua
manifattura nell’ambito della Conca
d’Oro,32
E’ evidente la confusione tra i due
studiosi ed il credito che si deve
accordare al primo editore, per quanto
sia possibile che entrambi ricordassero
bene: che cioè la stele, conciliando le
due dichiarazioni, era stata ritrovata
nel magazzino agricolo di Downville in
alcuni mobili, venduti alla famiglia De
Gregorio (fig. 29).
Sia nel primo che nel secondo caso,
l’aver conservato la stele punica
nel magazzino agricolo depone in ogni
caso per un’origine locale del
reperto, tenuto da Downville in scarsa
considerazione. E’ inoltre difficile
credere che un naturalista esperto come
Antonio De Gregorio - profondo
conoscitore di fossili e rocce siciliane
- si fosse ingannato sulla natura locale
della pietra utilizzata per realizzare la
stele; la sua esitazione piuttosto si
giustifica a causa della singolarità del
reperto dal punto di vista archeologico
ma non geologico. A noi inesperti sembra
possibile raccogliere pietre calcaree,
simili per grana e colorazione scura,
nello stesso parco di Villa Belmonte, ma
anche appare da escludere la presenza di
un tophet nella zona. D’altra parte,
la stele si sostiene essere certamente
connessa ad un tophet, che la distanza
dal centro abitato di Palermo rende nel
luogo assai improbabile.
La questione è allora destinata a
restare aperta, ma è evidente che
occorre focalizzare l’attenzione
archeologica sulla zona prima di
ulteriori devastazioni ed effettuare al
più presto l’accertamento
petrografico della natura della stele.
La scelta del Monte Pellegrino nel 247/6
a.C. da parte d’Amilcare come
accampamento militare per tre anni contro
Palermo,33
caduta nelle mani dei romani durante la
prima guerra punica, potrebbe non essere
affatto casuale: il luogo, idoneo per la
conformazione naturale ed il controllo
della via costiera verso Drepano ed
Erice, per l’abbondanza
dell’acqua e degli approdi
dell’Acquasanta ed Arenella
sull’itinerario marino da Palermo
verso Lilibeo, e di quelli
dell’Addaura e Mondello, tutti con
frammenti ceramici e ceppi plumbei del
III sec. a.C.,34
potrebbe essere stato scelto, anche
perchè posto sotto la protezione divina
per la presenza di sorgenti terapeutiche.35
Un vasto appezzamento di terreno alle
falde di Monte Pellegrino (fig.
30), tra la
Forestale e la “Scala Vecchia”,
dinnanzi alla Grotta del Condannato e
l’approdo dell’Acquasanta,
conserva abbondante ceramica domestica
punica, sempre della metà del III sec.
a.C., resti d’abitazioni, di una via
acciottolata e muri interrati. Si tratta
di un lembo dell’antico
accampamento, miracolosamente integro,36
che si estendeva verso Villa Belmonte e
l’Acquasanta e controllava
l’accesso al Monte, ove in località
Prima Cupola sussistono ancora strutture
architettoniche puniche, una cisterna e
ceramica a vernice nera di maggiore
pregio.37
Un edificio punico è stato ritrovato in
occasione della realizzazione della nuova
strada sotto la Prima Cupola,38
ma nel disegno pubblicato erroneamente si
propone erroneamente un fronte con tre
colonne circolari, che i reperti, in
parte miracolosamente sopravvissuti, nel
luogo smentiscono, trattandosi di
piedritti quadrangolari (fig.
31) e non di colonne
circolari.
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(fig. 31) |
(fig. 32) |
(fig. 33) |
(fig. 34) |
(fig. 35) |
Nel lembo integro del
campo, a monte della Forestale, e nel
presidio che si estendeva sino alla zona
della coffeehouse di Villa Belmonte,
segnalata da Antonio De Gregorio, sono
numerose le anfore Mañá D (fig.
32), talune con
iscrizioni [in un timbro si leggono le
lettere yod e lamed separate dal caduceo (fig.
33)], in un altro
proveniente da Prima Cupola un monogramma39
e bolli con il simbolo del caduceo, ma si
rinvengono anche numerose palle di pietra
(fig. 34)
e ciottoli levigati, il cui impiego
militare appare possibile. In base a
reiterate osservazioni di superficie
effettuate in idonei periodi
dell’anno, si può ipotizzare che
ogni struttura abitativa, dotata di
focolare, fosse simile all’altra e
costruita con bassi muretti parzialmente
incassati, senza traccia d’alcuna
copertura. I frammenti di un’anfora
Mañá D sembrerebbero essere presenti in
ogni ambiente insieme a poche ripetitive
stoviglie d’uso quotidiano. Pedine
da gioco, attrezzi metallici, monete
puniche della metà del III sec. a.C. con
Tanit/Kore e protome equina (fig.
35), pesi da telaio,
punte di freccia e di pilum sono stati
riscontrati nel sito.40
Gli accessi alla sommità del monte
appaiono inoltre, su tutti i versanti,
controllati da vedette segnalate
puntualmente da ceramica punica della
metà del III sec. a.C. ed ubicate sempre
sia a monte che a valle dei sentieri
d’ascesa. Un raro punzone ceramico
punico con cavallino corrente proviene
dalla Valle del Porco ed indica
l’adiacenza di uno stanziamento
permanente del III sec. a.C.
Ad altri spetta l’indagine
archeologica ed il riscontro puntuale
delle ipotesi proposte, a noi sembra
soltanto possibile sostenere che nella
zona, ritenuta a lungo benedetta, per la
presenza dell’acqua terapeutica41
- Acquasanta appunto - sia stata
ritrovata la più antica immagine del
Genio di Palermo (fig.
36), quella del
Molo.42
Dal
1566, per ventitré anni di lavoro
continuo, la zona infatti fu sconvolta
dai lavori di cava di una nuova banchina
del porto, ironicamente chiamato
“d’argento” per il suo
enorme costo.43
Ad un’estremità fu incastonata in
un monumento (fig. 37)
un’immagine
con leonté, che impugna un serpente,
decorata da venature in rilievo, di cui
s’ignora la provenienza, ma che
sempre è stata connessa all’acqua
ed alla guarigione, tanto da apparire,
ancora come Genio della Salute, sul
portale del seicentesco Lazzaretto
realizzato all’Acquasanta.44
Negli anni ’50 numerose cave della
zona funzionavano per il porto di Palermo
e restituivano tesoretti monetali punici,
oggi dispersi (fig.
38).45
E’ davvero sorprendente notare come
un territorio modificato dalle
devastazioni dell’uomo riesca a
conservare a lungo tracce d’antiche
pratiche e strutture, che possono
ovviamente essere interpretate solo fino
ad un limite estremo; di esse - se non si
procederà con interventi adeguati - non
resterà più nulla di significativo.
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(fig. 36) |
(fig. 37) |
(fig. 38) |
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NOTE
18 Dunand, Saliby, Le
temple d’Amrith dans la
Pérée d’Aradus, BIFAO,
CXXI, Paris, 1985; Bordreuil, Le
dieu Eshmoun dans la région
d’Amrit, Studia Phoenicia,
III, 1985, pp. 221-230;
Jourdain-Annequin,
Héraclès-Melqart a Amrith,
BIFAO, CXLII, 1992, pp. 12 ss.
19 Barreca, La
Sardegna e i Fenici. Ichnussa, La
Sardegna dalle origini
all’età classica, Milano,
1985, p. 380; Ramallo Asensio, La
realidad arqueológica de la
“influencia” púnica en
el desarrollo de los santuarios
ibéricos del Sureste de la
península ibérica, Santuarios
fenicio-púnicos en Iberia y su
influencia en los cultos
indígenas, XIV Jornadas de
Arqueología fenicio-púnica,
Eivissa, 1999, p. 188.
20 Tamburello,
Rinvenimenti e scavi
nell’area dell’abitato,
Palermo punica, Palermo, 1995, p.
80.
21 Giustolisi, La
Montagna Sacra, cit., pp. 64; 74
nt. 61; Id., Topografia, storia
ed archeologia di Monte
Pellegrino, cit., p. 48.
22 Purpura, Palermo e
il mare. Testimonianze
archeologiche e rinvenimenti
sottomarini, Storia di Palermo,
cit., I, pp. 240-243.
23Purpura, Palermo e
il mare. Testimonianze
archeologiche e rinvenimenti
sottomarini, Storia di Palermo,
cit., I, pp. 240-243.
24 Pirrone, Palermo,
una capitale. Dal Settecento al
Liberty, Palermo , 1989 , pp. 116
ss.
25 Candela, I Florio,
Palermo, 1986, p. 353.
26 Giustolisi,
Cronia, Paropo, Solunto, Palermo,
1972, p. 12, tav. III, fig. 3;
Id., Panormus, I, Palermo, 1988,
figg. XXXI-XXXVI; Id., Panormus,
III, 1, Palermo, 1997, pp.
27 Gómez Bellard,
Vidal González, Las
cuevas-santuario fenicio-púnicas
y la navegación en el
Mediterráneo, Santuarios
fenicio-púnicos en Iberia y su
influencia en los cultos
indígenas, XIV Jornadas de
Arqueología fenicio-púnica,
Eivissa, 1999, pp. 103-145.
28 Gómez Bellard,
Vidal González, Las
cuevas-santuario
fenicio-púnicas, cit., p.123.
29Giustolisi, La
montagna sacra, cit., pp. 66 ss.;
Tamburello, Un indizio per il
tophet?, Palermo punica, Palermo,
1995, p. 82.
30
Rossana De Simone,
La stele punica
“dell’Acquasanta”,
Archeologia e Territorio,
Palermo, 1997, pp. 447-450.
31Giacomo De
Gregorio, Guidi, Scoperta di
un’iscrizione fenicia,
Archivio Storico Siciliano, 27,
1902, pp. 110-114. Ringraziamo il
principe De Gregorio per averci
concesso l’opportunità di
esaminare il raro reperto della
sua collezione privata e la dott.
Lo Forte del Centro Thalassa per
aver dato la possibilità di
accedere frequentemente alla
Grotta del Bagno della Regina.
32 Antonio De
Gregorio, Resti del campo punico,
cit., p. 10 e s.
33 Polibio I, 56-7.
34
Purpura,
Rinvenimenti sottomarini nella
Sicilia occidentale, Archeologia
subacquea 3, Suppl. nn. 37 - 38,
1986, Bollettino d'Arte, p. 144,
nn. 29; 30; 31; 33.
35 Gli abitanti di
Cartagine veneravano Eshmoun come
dio guaritore, ma anche
guerriero. Xella, Aspects du
culte d’Eshmoun à Carthage,
Carthage et son térritoire dans
l’Antiquité, Actes IV
Colloque Intern. sur
l’Histoire e
l’Archéologie de
l’Afrique du Nord, Paris,
1990, pp. 131-139; Cruz Marín
Ceballos, Los dioses de la
Cartago punica, De Oriente a
Occidente. Los dioses fenicios en
las colonias occidentales, XII
Jornadas de Arquelogía
Fenicio-Púnica, Eivissa, 1997,
p. 75. Fantar (Y a-t-il à
Carthage une divinité
guerrière?, La première guerre
punique, Actes de la Table Ronde
de Lyon, 19 maggio 1999, Lyon,
2001, p. 135) considera Eshmoun,
al quale era dedicato
sull’acropoli il tempio più
importante, come
“Genio” della città.
36 Segnalato di
recente da Giustolisi, Panormus,
III, 1, cit., pp. 29 ss.
37 Già note a
Mongitore, Della Sicilia
ricercata, cit., p. 293.
38 De Stefani, Un
antico ipogeo sul Monte
Pellegrino, Panormus, Rivista
amministrativa, storico artistica
del Comune, genn. – magg.
1922, II, 1, pp. 57 –9.
39 Bonanno, Punici e
Greci, cit., pp. 55 ss.
40
Giustolisi,
Panormus, III, 1, cit., pp. 21
ss.
41 Giustolisi
(Topografia, storia ed
archeologia di Monte Pellegrino,
cit., p. 8 nt. 6) ha collegato il
toponimo Barca della zona
“alla radice semitica che
significa ‘benedire’
(dalla quale deriva l’arabo
baraka)”. L’antico
toponimo “barca” è
frequente e d’origine e
significato controverso
(Lenschau, PWRE, v. Hamilkar n.
7, VII, 2, 1912, coll. 2303 ss.;
Mercadante, Da Balarm, Palermo a
Giazîrah, Isola, cit., p. 110).
Sviluppando l’ipotesi di
Giustolisi, dalla zona sarebbe
stato tratto il soprannome di
Amilcare e non viceversa. Dunque
il primo della prestigiosa
famiglia di generali cartaginesi
avrebbe ricevuto
l’appellativo di Barca dalla
località sacra nei dintorni di
Panormo, ove aveva posto il campo
contro i Romani.
42
La sequenza delle
diverse immagini del Genio di
Palermo in Dell’Aira, Van
Dyck a Palermo, Kalos, XI, 2,
marzo/aprile 1999, p. 8 e figg. 8
– 13. L’intero
monumento, collocato
originariamente alla radice della
banchina del Molo
all’interno dei Cantieri
Navali, è stato oggi spostato
all’ingresso del porto, al
termine di via A. Amari.
43
Mongitore, Della
Sicilia ricercata, cit., p. 108.
44 La Duca, Il
Lazzaretto, La città perduta,
IV, Palermo, 1978, pp. 7 ss.
45 La Duca, Il
Lazzaretto, La città perduta,
IV, Palermo, 1978, pp. 7 ss.
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Giovanni
e Gianfranco Purpura, Il
Bagno della Regina
all'Acquasanta (Palermo) |
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